Referendum sulle trivellazioni, tutto quello che c'è da sapere

Il 17 aprile gli italiani sono chiamati a votare il referendum abrogativo, che deciderà se rinnovare le concessioni estrattive per i giacimenti entro 12 miglia marine dalla costa

Il referendum abrogativo interessa 21 piattaforme di estrazione

Il 17 aprile gli elettori italiani sono chiamati a votare il referendum “no triv” che deciderà il futuro dei giacimenti presenti entro 12 miglia dalle coste del Paese. A richiederlo sono state le regioni costiere quali: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Il referendum non vieterà nuove trivellazioni oltre le 12 miglia, bensì deciderà se le piattaforme “offshore” già esistenti entro questa distanza, che operano trivellazioni di gas e petrolio, potranno continuare le proprie procedure di estrazione di fonti di energia fossile. Le piattaforme interessate dal voto sono precisamente 21 (di cui ben 7 in Sicilia), mentre la maggior parte dei giacimenti si trova già oltre le suddette miglia marine. Sarà quindi compito del popolo italiano decidere se rinnovare o meno ad esse le concessioni estrattive. L’esito del referendum sarà da considerare valido solo nel caso in cui andranno a votare il 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto. 

L’obiettivo delle regioni che hanno proposto il referendum è quello di impedire alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Qualora dovesse vincere il «No», (e in caso di mancato raggiungimento del quorum), le ricerche e le attività estrattive già in corso non avrebbero scadenza certa, proseguendo così fino a esaurimento del giacimento. Se invece dovesse vincere il «Sì», le attività petrolifere dovranno cessare progressivamente, secondo la scadenza fissata originariamente al momento del rilascio delle concessioni. In questo modo le 21 piattaforme chiuderanno in un arco di tempo che può andare dai 5 ai 20 anni, e verrà impedito l’ulteriore sfruttamento degli impianti già esistenti una volta scadute le concessioni.
Con la vittoria del «Sì» Verrà così abrogata quella parte di legge che permette di effettuare trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa italiana fino all’esaurimento dei giacimenti in questione.

Ecco come si presenterà il referendum: «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?». Il comma 17 del decreto legislativo 152 vieta nuove «attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi» entro le 12 miglia marine delle acque nazionali italiane, ma sottolinea anche il fatto che gli impianti già esistenti potranno continuare ad operare fino alla scadenza della concessione, che potrà essere prorogata fino all’esaurimento dei giacimenti, ed è qui che la voce degli italiani entrerà in gioco

Nel quadro generale, le 130 piattaforme "offshore" presenti in Italia producono quattro quinti di tutto il gas prodotto entro i confini nazionali, soddisfando solamente il 10% del fabbisogno nazionale. 
Attivisti di Greenpeace in azione

Attivisti di Greenpeace in azione

Chi è a favore del «Sì» e chi è a favore del «No»

Chi è a favore del «Sì»: le nove regioni che hanno promosso il referendum abrogativo e molte associazioni ambientaliste, quali Greenpeace e WWF, che sottolineano come le trivellazioni possano causare gravi rischi sanitari e ambientali (ad esempio rilasciando greggio in mare). Alcuni inoltre si oppongono alle piattaforme poiché creerebbero danni al turismo, un collegamento non ancora dimostrato. Ma dietro alle motivazioni del comitato “No-Triv” non vi sarebbe tanto l’aspetto “ambientale”, quanto una ragione “politica”, ovvero votando «Sì» si invierebbe un segnale deciso al governo per spingerlo ad abbandonare le fonti di energia derivanti da combustibili fossili, a favore delle fonti energetiche alternative, troppo poco sfruttate e ignorate. 

Chi è a favore del «No»: il comitato “Ottimisti e Razionali”, presieduto da Gianfranco Borghini, ex deputato del Partito Comunista e poi del PdS, il quale sostiene come questi metodi di estrazione siano sicuri per limitare l’inquinamento. Infatti la produzione del 10% di gas e petrolio evita che molte petroliere si siano recate finora nei porti italiani. Inoltre la vittoria degli sfavorevoli all’abrogazione, eviterebbe conseguenze “catastrofiche” sull'occupazione, poiché le piattaforme danno lavoro a migliaia di persone. Infine gli “Ottimisti e razionali” sono contro l’aspetto “politico” del voto, sottolineando come il referendum in questo caso rappresenti un modo errato per chiedere al governo investimenti nelle energie rinnovabili.