Marchionne paladino della responsabilità morale?

Il futuro del libero mercato secondo il CEO di FCA.
L'opinione di Giancarlo Trigari

Nel 1899 a Torino è nata la FIAT, la più grande azienda italiana del dopoguerra.

Dagli anni cinquanta in poi la FIAT ha partecipato attivamente al miracolo italiano, e ha fatto in modo che il nostro paese si riempisse di auto e autostrade, moderne icone del benessere.

Ha convogliato inizialmente a Torino l'emigrazione interna di masse di disoccupati provenienti dalle regioni del sud-Italia, per poi adeguarsi alla delocalizzazione interna dopo che lo Stato aveva migliorato i sistemi di comunicazione e dopo aver avuto l'opportunità di ingurgitare tutta la concorrenza italiana.

Nel frattempo ha fatto man bassa di aiuti statali, concessi senza remora dai governi di tutti i colori politici e caldamente raccomandati dai sindacati, giustamente impegnati nella difesa del posto di lavoro di una massa sempre più ingente di lavoratori. Gli utili non sono mancati ed hanno permesso alla proprietà di espandersi in altri settori, forieri di ulteriori utili.

L'espansione di una grande azienda italiana non può che renderci orgogliosi, se si esclude la circostanza che questo sviluppo si è realizzato applicando il principio: incassare gli utili e i costi per quanto possibile scaricarli sulla comunità.

Questa felice storia di integrazione tra capitale privato e stato si è interrotta bruscamente per il concorso di due eventi. La Comunità Europea, garante della Concorrenza, ha vietato l'elargizione di aiuti statali alle aziende, e la crisi dei mutui sub-prime si è abbattuta sull'Europa.

La FIAT è entrata in crisi come tante altre aziende nel mondo.

È stato Marchionne a tirarla fuori dal guano con un piano geniale.

Gli aiuti di stato Marchionne è andato a rimediarli negli Stati Uniti, tramite un progetto di rilancio su uno scenario molto più vasto e molto più promettente in termini di ripresa, che coinvolgeva anche un'azienda americana, la Chrysler, in condizioni probabilmente più disastrate della FIAT.

Il piano prevedeva di inglobare l'azienda americana, ma solo dopo il rilancio e dopo aver restituito allo Stato USA gli aiuti prestati.

Il progetto è andato a buon fine e le due aziende, fuse in un unico gruppo, hanno ripreso a fare utili, arricchendo anche il bravo Marchionne. A questo proposito non si può fare a meno di sottolineare che gli USA sono un paese in cui, a differenza che in Italia, si possono ideare piani basandosi su dati certi: attuali e previsionali.

Siamo a questo punto di questa storia edificante quando Marchionne, in un discorso tenuto alla Luiss, prestigiosa istituzione universitaria nel campo del business internazionale, si dichiara paladino di un “capitalismo umano”.

Marchionne ha affermato: « Il perseguimento del mero profitto scevro da responsabilità morale non ci priva solo della nostra umanità ma mette a repentaglio anche la nostra prosperità a lungo termine. Per questo sono convinto che ci troviamo a un bivio cruciale. Creare le condizioni per un cambiamento virtuoso è la sfida del nostro tempo. … ricostruire economie efficienti ed eque, separate ma interconnesse. Per promuovere la globalizzazione che sia davvero al servizio dell'umanità".»

Nessuno può credere che la FCA (gruppo in cui è confluita la FIAT) e il suo CEO abbiano tra le loro priorità il benessere dell'umanità. Del resto non sarebbe corretto, visto che fanno un mestiere che ha altri obiettivi. Marchionne vuol indirizzare la comunità internazionale a realizzare lo scenario migliore per i suoi affari, cercando di dimostrare che è anche quello che persegue il benessere della comunità.

Se i due obiettivi possono essere perseguiti congiuntamente non si può che essere d'accordo e plaudire alla novità rappresentata da questa uscita che apre un dibattito sullo sviluppo sostenibile anche a livello della grande industria.

È evidente che la FCA si trova a combattere con altrettanto grandi colossi, nel libero mercato, una lotta che può essere mortale sia per le dimensioni dei concorrenti, sia perché tutto è permesso, anche i colpi bassi. Ma ancora di più perché competere ad alti livelli è estremamente costoso e distrae risorse che potrebbero essere dedicate alla produzione di utili. Questa lotta di giganti può facilmente schiacciare anche il consumatore, che popola il campo di battaglia.

Marchionne non indica percorsi di attuazione dell'umanizzazione del mercato, perché questo non è il suo compito, ma sicuramente contribuisce a mettere sotto i riflettori un problema con cui la comunità internazionale deve confrontarsi in un futuro molto prossimo.


Giancarlo Trigari