Cassazione, nessun risarcimento se il rapporto affettivo è solo “Social”

La Suprema Corte rigetta la richiesta danni degli zii per la perdita del nipote con il quale avevano rapporti solo tramite, sms e social network

I magistrati ricordano quali sono i concetti di ''amicizia'' e di stabile rapporto affettivo

In una società improntata alla comunicazione in tempo reale con continui contatti telefonici, a mezzo chat, post e messaggi sui social forum, la Cassazione ricorda che i concetti di ''amicizia'' e di stabile rapporto affettivo meritevole di tutela giuridica sono un'altra cosa e rigetta le richieste degli zii di ottenere il risarcimento dei danni per la perdita del nipote con il quale avevano dimostrato di avere solo un rapporto ''virtuale''.
Leggendo il corpo della pronuncia, la sensazione è quella che con la sentenza 9 marzo 2017, n. 11428 la Suprema Corte di Cassazione abbia voluto privilegiare le relazioni più tradizionali, incentrate su uno stabile contatto vis-à-vis, rispetto a quelle più “moderne”, tipiche del mondo giovanile, fatte di sms, di “mi piace”, chat private e quant’altro ancora possa essere trasmesso attraverso un semplice click.
La vicenda in esame trae spunto da un drammatico sinistro stradale nel quale perdeva la vita S. N., a seguito dell’impatto con la vettura Fiat multipla condotta dalla B. K., che, nell’intento di effettuare una svolta a sinistra, ne aveva invaso la semi-carreggiata.
Occorre dire in prima battuta che in circostanze analoghe, secondo un granitico principio giurisprudenziale: “ai prossimi congiunti della persona che ha subito lesioni, a causa del fatto illecito altrui, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato, in relazione ad una particolare situazione affettiva intercorrente con la vittima. In tal caso, il congiunto è legittimato ad agire "iure proprio" contro il responsabile”. Ciò significa che, a seguito di un evento da cui sia scaturita la morte di una persona - come nel caso de quo - in capo ai parenti della vittima potrà essere riconosciuta una somma a titolo di risarcimento del danno per il legame “spezzato” con il deceduto, che prende il nome di “danno parentale” o “danno riflesso”.
Proprio in applicazione di tale principio, infatti, nel giudizio penale aperto in primo grado davanti al Tribunale di Aosta si costituivano parte civile gli zii della vittima, a cui veniva riconosciuto un risarcimento pari ad € 20.375 ciascuno; risarcimento che però non veniva più riconosciuto in secondo grado, dove la Corte di Appello di Torino eliminava le statuizioni adottate in favore dei congiunti.
Avverso la pronuncia della Corte di merito proponevano ricorso per Cassazione gli zii della vittima, lamentando in particolare che: “la sentenza impugnata avrebbe erroneamente considerato il parametro della convivenza quale principale elemento di valutazione, ancorandolo alla definizione di coabitazione, mentre in realtà i ricorrenti avrebbero fornito la prova dell’esistenza e della durata del rapporto stabile e continuativo nel tempo, come documentato dal […] contenuto dei messaggi sms e Facebook che testimoniavano il legame affettivo”.
Dall’altro fronte, invece, a mezzo del proprio procuratore la B. K. produceva in giudizio una memoria difensiva, evidenziando come i parenti della vittima: “non avrebbero assolto l’onere della prova sull’esistenza del rapporto affettivo e sull’effettiva perdita di un effettivo valido sostegno morale a seguito della morte del familiare” poiché, sempre a suo dire, “la motivazione appare corretta laddove ritiene del tutto privi di valore probatorio, anche nel merito, i messaggi sms e facebook allegati alla costituzione di parte civile”.
A risoluzione della querelle, la Suprema Corte si è espressa in modo categorico: “Va rilevato che, come rileva la logica motivazione del provvedimento impugnato che ne sottolinea la "labilità" e "l’inconsistenza", non possono essere certo dei messaggi sms o rapporti intrattenuti sul social forum Facebook a poter far dire provata la sussistenza di tale legame. È esperienza comune, infatti, che, soprattutto i giovani, hanno centinaia e centinaia di "amici" Facebook, con molti dei quali intrattengono rapporti meramente virtuali che, evidentemente, nulla hanno a che vedere con i concetti di "amicizia" e di stabile rapporto affettivo”.
A ben vedere, tuttavia, l’enunciazione della Corte – nella sua eloquenza – rimane solo il punto di partenza di una più generale dissertazione sul valore probatorio delle nuove forme di comunicazione. Il volere della Corte, difatti, non è quello di escludere tout court i cosiddetti rapporti “virtuali”, ma, semmai, è quello di inserirli in una più generale valutazione dell’effettiva intensità del rapporto, da effettuarsi comunque caso per caso. In quest’ottica, dunque, tutti gli elementi che compongono un legame affettivo (quali potrebbero essere l’esistenza di una folta messaggistica, ma anche la convivenza, o la condivisione di momenti particolarmente significativi nella vita del congiunto, etc.) dovranno essere considerati con attenzione da parte del giudicante, senza alcun tipo di preclusione o preconcetto.
“L’approdo ermeneutico deve dunque essere quello di prescindere da presunzioni generali iuris et de iure”, spiega la Corte.
Pertanto, suggeriscono gli ermellini, non è da escludere anche che: “la molteplicità di contatti telefonici o telematici, laddove sia giustificata dalla difficoltà del contatto fisico, [possa tradursi] in un intenso livello di comunicazione in tempo reale, che rende del tutto superflua la compresenza fisica nello stesso luogo per coltivare e consentire un reale rapporto parentale”, come potrebbe essere, ad esempio, il caso di un parente che per diverso tempo lavora o studia all’estero. Fatte salve queste eventualità, comunque, è indubbio che una comprovata convivenza dei familiari possa far ritenere, in concomitanza con altri fattori, l’esistenza di un saldo legame tra i familiari, tanto che, scrive la Corte, in assenza della stessa: “permane sullo sfondo […] [come] la condivisibile esigenza di certezza del diritto vivente e l’obiettivo di scoraggiare pretese risarcitorie strumentali […] da parte di soggetti di fatto distanti dalla rete affettiva familiare è già adeguatamente garantita […] dall’adempimento completo dell’onere probatorio da parte del soggetto che chiede risarcimento - non sussistendo alcuna praesumptio a suo favore - che deve essere dal giudice attentamente verificato”. La Cassazione non smentisce, quindi, come l’intercorsa convivenza tra gli stretti congiunti sia una circostanza rilevante (ma non indispensabile) per dare contezza dell’intensità del legame affettivo.
“Ebbene”, conclude la Corte, “se questi sono i principi giuridici di riferimento, nel caso di specie […] non sono stati portati elementi concreti, al di là dello scambio di sms e di "amicizia" su Facebook, atti a provare un legame affettivo e parentale solido e permanente tra la persona offesa e gli zii”, e per questi motivi “rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali”.


Avvocato Luigi Lucente

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