Giornata della memoria delle vittime di mafia: Rocco Chinnici raccontato dal figlio Giovanni

21 Marzo 2017, giornata dedicata alla memoria di tutte le vittime di mafia. Giovanni Chinnici racconta la vita, le scelte e gli insegnamenti di suo padre Rocco Chinnici. Magistrato ucciso dalla mafia il 29 Luglio 1983.

«Oggi è una mafia silenziosa, una mafia nascosta, ma ciò non vuol dire che ha cessato di esistere»

«Avrebbe potuto trasferirsi altrove. Sarebbe vissuto ma non sarebbe stato più lui. Sarebbe vissuto con il rimpianto di aver abbandonato il proprio lavoro a metà. Questo si che l’avrebbe voluto: cambiare le cose, lasciare un segno. Forse era coraggioso alla maniera di Achille, coraggioso e incosciente abbastanza da scegliere di vivere nella memoria di chi verrà più che nel tempo presente».    “È così lieve il tuo bacio sulla fronte” Caterina Chinnici.

CHI ERA SUO PADRE?
«La figura di Rocco Chinnici si è sviluppata tra gli anni ’70 e gli anni ’80. A partire proprio dagli anni ’70 la mafia cominciò a cambiare pelle, passando da una mafia agricola ad una mafia occupata nel traffico di droga, diventando potentissima anche in termini economici.  Dal 1980, mio padre “arruolò” Giovanni Falcone e Paolo Borsellino creando l’ufficio che sarà poi chiamato “Pool Antimafia”. Saranno proprio loro a portare avanti il lavoro di Rocco Chinnici dopo il 29 Luglio 1983, data in cui la mafia uccise mio padre. Io avevo solo 19 anni e ricordo bene questa sua costante ansia nel cercare di lavorare il più velocemente possibile, perché era cosciente del fatto che a breve sarebbe stato assassinato».

QUALI FURONO LE NOVIT À CHE INTRODUSSE SUO PADRE ATTRAVERSO IL PROPRIO LAVORO?

«Mio padre diede il via a due attività rivoluzionarie per quegli anni. In primo luogo modificò quello che era stato, fino ad allora, il lavoro dei magistrati che acquisirono una funzione di salvaguardia e presidio delle istituzioni. In secondo luogo si occupò dei giovani, andando di persona nelle scuole ad incontrarli. Questa scelta trovava motivazione nel fatto che l’eroina, il cui traffico era la prima fonte di guadagno della mafia, distruggeva le vite dei ragazzi. Rocco Chinnici voleva salvare a tutti i costi i giovani, per questo si faceva accompagnare a questi incontri da medici che potevano spiegare in modo dettagliato tutti gli effetti dell’uso di droghe. Mio padre aveva un gran carisma, era capace di incantare chiunque lo andasse ad ascoltare, molti dei miei coetanei intrapresero un loro percorso di consapevolezza proprio grazie a questi incontri con lui».

SUO PADRE
È STATO UCCISO QUANDO LEI ERA ANCORA UN RAGAZZO, ORA CHE È UN UOMO COSA AMMIRA DI LUI?
«Sono due le capacità che, da adulto, invidio molto a mio padre:  la straordinaria capacità di far metabolizzare a tutti noi i rischi a cui andava incontro ed, ex post, anche tutta la sorte che gli è toccata ed il grande senso di naturalezza con cui ci ha fatto vivere il suo lavoro.  Noi non abbiamo mai percepito il fatto che lui stesse svolgendo un’attività non consueta,credeva nell’importanza del lavoro in sé stesso, a prescindere che si portasse avanti la mansione di magistrato o qualsiasi altra».

QUALI SONO GLI INSEGNAMENTI CHE LE HA LASCIATO?

«Per me gli insegnamenti sono, chiaramente, quelli di un padre e non quelli del magistrato. Era un padre forte, presentissimo anche se non era mai a casa, era immanente rispetto a tutto, era il cardine della famiglia a prescindere dal tempo che trascorreva insieme a noi. Era un uomo estremamente indipendente e libero, credo che sia stata proprio la sua idea di libertà ad avere ispirato il suo lavoro. A noi figli ha, dunque,trasmesso di certo il senso del dovere e dell’impegno, la libertà e l’importanza della famiglia».

IN UN’INTERVISTA SUA SORELLA CATERINA SOSTENNE CHE LA SCELTA DELLA DATA E DEL TRITOLO ERA STATA FATTA PER ANNIENTARE COMPLETAMENTE VOSTRO PADRE. LEI È D’ACCORDO?

«Tutto in Sicilia ha una simbologia, compresa la progettazione dell’attentato. Io ho sempre avuto la convinzione, anche se di questo non ho prove, che la finalità specifica che mosse tutto fu  quella di impedirgli di emettere alcuni mandati di cattura. Attività che sarà poi portata avanti fino alla completa realizzazione da Giovanni Falcone. L’uso del tritolo, invece, ha una doppia valenza: quella pratica, cioè la totale sicurezza di non fallire, dato che mio padre aveva un buon apparato di scorta; quella simbolica, ossia far esplodere una bomba in pieno centro aveva una forte valenza terroristica, un monito per chiunque si fosse opposto alla mafia».

COSA PENSA DEI GIOVANI DI OGGI IN RELAZIONE AL TEMA DELLA LOTTA ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA?

«I giovani non ne capiscono le dinamiche e non le possono capire. La mafia di oggi è sicuramente meno pericolosa sotto il profilo militare, in quanto ha smesso di uccidere uomini in vista. Però questo non significa che ha cessato di esistere, è solo una mafia nascosta, una mafia silenziosa che agisce attraverso due canali: la politica e l’economia».

Martina Papetti