Protocollo d’intesa per l’accoglienza dei migranti: le ragioni dei sindaci che non hanno aderito

Il sindaco di San Giuliano, Marco Segala, ed il collega di Tribiano, Franco Lucente, sono stati tra i primi cittadini che con maggior decisione hanno respinto l’accordo siglato in Prefettura

Da sx: Marco Segala e Franco Lucente

Da sx: Marco Segala e Franco Lucente

Lucente: «I sindaci non sono agenti immobiliari»

Il protocollo d’intesa per l’accoglienza dei migranti siglato presso la Prefettura milanese il 18 maggio non è stato accolto da un coro unanime di “sì”. Per quanto riguarda l’area omogenea dei Comuni a Sud di Milano, infatti, le realtà territoriali di San Giuliano, Melegnano, Tribiano e San Zenone al Lambro hanno deciso di non sottoscrivere il patto, in contrapposizione al progetto di accoglienza diffusa proposto dalla Prefettura stessa e dal Ministero dell’Interno. 

In particolare, le prese di posizione più decise sono state quelle di Marco Segala, primo cittadino sangiulianese, e di Franco Lucente, sindaco di Tribiano. Il primo ha dichiarato la sua netta contrarietà al progetto, motivando in una lettera al Prefetto di Milano, Luciana Lamorgese, le ragioni del suo no. Tra le motivazioni addotte nella lettera si legge: «Solo nel mese di marzo, in occasione dell’incontro tenutosi presso gli uffici della Prefettura, sono venuto a conoscenza del numero esatto di immigrati presenti sul territorio (49) in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato. Sempre in quella occasione, le ho manifestato molte perplessità rispetto alla sottoscrizione del protocollo. La nostra Città è cambiata nella composizione sociale e demografica, nella sua “internazionalizzazione” dovuta alla presenza di cittadini provenienti da ben 93 paesi del mondo. Inoltre i servizi sociali sono quotidianamente alle prese con la gestione di un numero sempre maggiore di sfratti per morosità, circa 90 all’anno, e la nostra Città non è in grado di fornire risposte adeguate a causa del fallimento che ha coinvolto l’ex società in house, Genia Spa. Sento quindi l’obbligo di ribadire le criticità strutturali del nostro Ente». 

Prosegue poi Segala nella sua missiva: «Per quanto attiene alla gestione dei flussi migratori, il distretto sociale di cui fa parte San Giuliano Milanese accoglie o accoglierà, stante la disponibilità di alcuni colleghi dei comuni limitrofi, 366 immigrati a fronte dei 278 che spetterebbero se si applicasse il parametro definito da ANCI e Ministero dell’Interno. Analizzando lo schema di protocollo, l’aggettivo “sostenibile”, immagino, stia a significare che l’accoglienza non possa né debba alterare le situazioni preesistenti dell’ordine pubblico, della sicurezza, della coesione e convivenza civile. Non si può parlare di sostenibilità senza tenere in considerazione aspetti di carattere soggettivo (ad esempio, se si tratta di famiglie, donne con minori, uomini o donne) e aspetti di carattere oggettivo (marginalità sociale, aree a rischio, fenomeni di criminalità emergenti, inciviltà, illegalità diffusa e così via) della Città coinvolta».

Di simile avviso il sindaco tribianese, che afferma: «Non ci sono i presupposti che mi consentirebbero di gestire questa gente sul nostro territorio. In base alla ripartizione delle quote stabilite da Prefettura e Ministero dell’Interno, a Tribiano toccherebbero 10 richiedenti asilo, ma il problema è che non abbiamo le condizioni per ospitarli. Non sono giunte garanzie da parte del Ministero circa la questione legata alla sicurezza, perché questo protocollo non definisce le modalità di integrazione sul nostro territorio di questi soggetti, che finirebbero quindi per delinquere». 

In tal senso, Lucente precisa: «Il protocollo d’intesa, infatti, prevede unicamente le modalità di individuazione di luoghi pubblici o privati da mettere a disposizione e le modalità di svolgimento del bando, in cui la Prefettura diventa centrale di committenza per quanto riguarda la gestione del bando stesso». 

Da qui, le conclusioni del primo cittadino tribianese: «Il protocollo che è stato firmato finisce per conferire ai sindaci il ruolo di meri “agenti immobiliari”, il che mi sembra veramente riduttivo per un amministratore pubblico. I sindaci che hanno aderito, a mio avviso, non hanno fatto altro che firmare un documento che li avvia ad avere grossi problemi sul loro territorio».

Alessandro Garlaschi