Peschiera, Massimo ha perso una gamba ma ora vive un nuovo inizio

Dopo quattro anni sulla sedia a rotelle e 10 interventi, a Massimo amputano la gamba a luglio, la protesi arriverà a dicembre dopo un iter che ha dell’incredibile, e ora, in attesa di un lavoro, è tornato a vivere

Massimo mentre fa trekking

Massimo mentre fa trekking

«In queste situazioni capisci chi ti è davvero amico e chi ti vuole bene»

A volte la vita ci mette di fronte a situazioni difficili da gestire, a problemi che necessitano di una grande forza, per essere prima affrontati e poi superati. Massimo C. di Peschiera Borromeo, si è trovato a combattere contro una patologia molto grave, ovvero il morbo di Charcot, che si accompagna sempre al diabete e che porta alla deformazione e alla frammentazione delle ossa. Tale malattia lo ha costretto per dieci volte a sottoporsi a interventi chirurgici al piede destro, obbligandolo ad utilizzare la sedia a rotelle per oltre quattro anni. Poi un giorno si presenta la febbre, è in setticemia, sta male, viene ricoverato al pronto soccorso, e qui trascorre in coma cinque giorni, al termine dei quali si risveglia di fronte a un aut aut, o meglio, a un'unica opzione: bisogna amputare l’arto inferiore destro sotto il ginocchio. L’amputazione è state eseguita il 6 luglio 2015.  Entrato in ospedale le sue possibilità di sopravvivere erano pari al 20%, e per questo oggi valorizza ogni singolo minuto della propria vita. 

Al suo fianco, sempre presente nelle sue battaglie, c’è la compagna, insieme alla famiglia di quest’ultima e agli amici «In queste situazioni – spiega Massimo C. - apri gli occhi su chi ti vuole davvero bene. La mia famiglia mi ha abbandonato, non ci parliamo più, non mi ha passato un euro per le cure. Inoltre è da maggio 2015 che sono senza lavoro, ero socio in un’impresa, e ora trovare impiego è complicato a dir poco. È stata davvero dura, ammetto di aver pianto spesso». La commozione ogni tanto riaffiora mentre racconta la sua storia, che rappresenta quella di molti italiani, i quali hanno dovuto affrontare i tempi della burocrazia, la mancanza di aiuto da parte delle Istituzioni affidandosi ai propri mezzi. Fortuna che però esistono ancora persone con un grande cuore, grazie alle quali Massimo, dopo un lungo iter, è riuscito finalmente a trovare e ad avere una protesi in carbonio che gli ha cambiato la vita, permettendogli di tornare a camminare. La protesi l’ha ricevuta il 23 dicembre dopo un’attesa di ben 6 mesi, una vera e propria odissea

Dal giorno della dimissione dall'ospedale, il 4 agosto, nessuno della Asl ha detto a Massimo se effettuare fisioterapia o se ricorrere ad uno psicologo. Fa delle ricerche per suo conto, e il 20 ottobre riesce ad ottenere una visita a Vigorso di Budrio (BO) presso il migliore centro per protesi d’Italia, dove però non lo attendono buone notizie: «Arrivato a Budrio – racconta Massimo – mi hanno effettuato una visita psicologica e ho parlato con due medici e due ingegneri. Mi hanno cambiato la fasciatura (per 30 euro), mi hanno chiesto se vivessi in pianura, e infine mi hanno mostrato i prezzi. La protesi in carbonio costava 3mila euro, a questi bisognava aggiungere 7mila euro per la fisioterapia mensile. Pensavo che l’Asl avrebbe pagato, invece no: Passa solamente le protesi in legno. Vedere la gente che camminava con le protesi per i corridoi a Budrio mi ha fatto tornare voglia di vivere, ma ero disperato, dove avrei trovato quei soldi? Con i preventivi del centro - continua - vado in cerca di un medico fisiatra, lo trovo a Melegnano, ma è tutto inutile, tutte le protesi hanno un codice, raccolto nel nomenclatore unico tariffario che viene consultato da tutti i medici, peccato sia fermo al 1992, di conseguenza nessuno accetta di pagarti le protesi».  

«La vita non ti si può precludere a causa di una protesi alla gamba»

Fortunatamente una ragazza su sedia a rotelle conosciuta in ospedale, consiglia a Massimo di recarsi all’Ufficio Disabili della Regione Lombardia. Qui troverà persone gentili, disponibili e in grado di aiutarlo. Dopo giri di chiamate, un’ulteriore illusione al centro di Budrio, viaggi per Asl e non solo, finalmente riesce ad ottenere la visita (e la protesi gratuita) allla Fondazione Don Gnocchi di Milano, dove trova sinergia e organizzazione, e il giorno dopo all’ortopedia Panini in via Casareto, gli effettuano il calco del moncone col gesso, promettendogli che per Natale avrebbe camminato, e così è stato. «Quando è arrivata la protesi – continua Massimo - non volevo più toglierla, mi è parso di rinascere: poter nuovamente camminare, prendere sotto braccio la mia compagna, andare a comprare il pane, fare la spesa, andare in bici, giocare a pallone con mio figlio, fare un orto…sono tutte queste piccole cose che diamo spesso per scontate quelle che mi erano mancate di più». 

Il lavoro resta però il problema principale irrisolto, infatti da gennaio cerca un impiego senza risultati (su 121 richieste solo 1 azienda ha risposto), e il fatto di essere definito disabile al 100% non aiuta. Si è iscritto all’AFOL, dove però la pubblicazione delle liste di impieghi, dedicati alle categorie protette, continua ad essere posticipata, e contestualmente vi sono le spese a cui badare: il mutuo è di 700 euro, ma sia lui che la compagna sono senza lavoro, e per (soprav)vivere possono ricorrere esclusivamente alla pensione d’invalidità di Massimo, unitamente all'accompagnamento (500 euro) che potrebbe perdere alla prossima visita di controllo qualora le protesi siano considerate autosufficienti. A quel punto i 500 euro dell’accompagnamento diverrebbero 285. Vuole solo un’occasione per mostrare le proprie capacità.

Nell'attesa, l’affetto delle persone care aiuta molto, e anche lo sport non è da meno: «Sono sempre stato molto attivo - racconta Massimo - sono cintura nera di judo, praticavo rugby e hockey, ora faccio anche 50 km in bici al giorno, cammino sempre (anche perché ho dovuto vendere l’auto), e a settembre forse svolgerò la prima gara nazionale di canoa, e in questo ci tengo a ringraziare la Polisportiva Milanese, che aiuta tante persone disabili, persone splendide che ho avuto l'onore di conoscere. Non bisogna mai abbattersi, io racconto la mia storia per dare forza a tutte quelle persone che stanno affrontando lo stesso iter, e per far aprire gli occhi su quei 250mila italiani sottoposti ad amputazione. Una protesi non può precludere alla vita, a ciò che siamo in grado di fare reagendo alle difficoltà. Ogni passo rubato, ogni secondo in cui posso camminare è una conquista. Rinasci perché: impari di nuovo a camminare, assapori le piccole cose, vedi il mondo con uno sguardo nuovo. A breve – conclude - testerò un nuovo tipo di protesi, sarò il primo, e racconterò su Facebook la mia esperienza, spero che possa aiutare tante persone, infatti sono quest'ultime e non le Istituzioni quelle in grado di fare la differenza, per questo ringrazio tutte quelle persone buone che mi sono state vicino, sostenendomi in questo nuovo inizio».


Stefania Accosa