Emanuele Fiano racconta suo padre Nedo in un incontro con le scuole nella Giornata della Memoria al Conservatorio di Milano

Tra i tanti istituti presenti, anche il CFP Afol di San Donato Milanese: «Non sappiamo come l’onorevole sia riuscito a raccontare il profondo dolore che ha vissuto la sua famiglia, ha avuto molto coraggio e siamo contente che si sia offerto per raccontare a tutti noi la vita di suo padre»

Giorno della Memoria

Giorno della Memoria 1500 studenti a Milano, al Conservatorio con la testimonianza di Emanuele Fiano

Nella  mattinata di venerdì 27 gennaio 2023, si è tenuto presso il Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano un incontro tra l’onorevole Emanuele Fiano e alcune scuole del territorio milanese in occasione della Giornata della Memoria.

Ad accoglierli Susy Barki, presidentessa dell’associazione “Figli della Shoah”, che nel suo discorso di benvenuto ha affermato: «Oggi inizia un nuovo capitolo del nostro modo di raccontare la Shoah, con l’onorevole Emanuele Fiano, un figlio della Shoah, figlio di un genitore con tanti silenzi e ombre. Ma è come ascoltare un testimone diretto».

Massimiliano Baggio, direttore del Conservatorio, ha aggiunto: «Avremo il piacere di intrattenervi con il concerto di una jazz band, perché la musica nel periodo della Shoah aveva un significato particolare e il jazz in particolare veniva osteggiato perché ritenuto in qualche modo musica degenerata e oscena. Ma la musica ha anche un potere evocativo».

È così che il palco viene lasciato a Emanuele Fiano il quale racconta, con non poca commozione, la storia della sua famiglia e di suo padre Nedo, sopravvissuto al campo di concentramento di Auschwitz. Nedo Fiano fu catturato a Firenze dalla milizia fascista, grazie alla delazione di qualcuno che lo conosceva, incarcerato, spostato al campo di Fossoli – dove arrivò il giorno dopo la deportazione del fratello Enzo, il quale aveva lasciato scritta sul muro la frase “Enzo Fiano è partito da qui” – e poi inviato al campo di sterminio di Auschwitz il 16 ottobre del 1943.

Colpiscono le parole di Emanuele Fiano, quando racconta l’indifferenza di chi ha girato la testa dall’altra parte non appena furono pubblicate le Leggi Razziali che divisero un popolo da un altro; quando i compagni di suo padre – allora tredicenne – non si ribellarono alla sua cacciata da scuola e non lo cercarono, mai, per i successivi ottant’anni nonostante la sua testimonianza continua di ciò che aveva vissuto. Il 1938 fu l’anno in cui tutti si voltarono dall’altra parte per un ordine calato dall’alto, un ordine che aveva cancellato la fiducia tra uomini che fino al giorno prima collaboravano. Le Leggi Razziali, che avevano tolto tutto alla famiglia Fiano; fino a cancellarla del tutto con lo sterminio al quale solo Nedo sopravvisse. Trema la voce dell’onorevole Fiano quando racconta di come si sparse fra le persone di origine ebraica la voce dei rastrellamenti, delle incarcerazioni, dello sconvolgimento di un nonno – nonno Olderigo – che vede tutto ciò in cui aveva creduto (un dittatore, un partito, un’idea di Paese) tradito da quelli in cui aveva avuto fede.

È un pugno nello stomaco il momento in cui l’onorevole Fiano dice: «Mio padre fu messo nel Kommando Canada, sui binari che arrivavano ad Auschwitz, e aveva l’incarico di prendere le valigie degli ebrei che arrivavano al campo e svuotarle per ripulirle, prendere denaro, gioielli e oro per finanziare la guerra del Reich. Ma era un posto fortunato, perché gli ebrei di quel Kommando potevano mangiare il cibo che i deportati avevano nelle valigie. e aggiunge – Mio padre  vide bambini lanciati in aria per essere uccisi col tiro al bersaglio e quando arrivavano troppi ebrei e i tedeschi non riuscivano a eliminarli tutti nelle camere a gas li uccidevano sul posto e poi accatastavano i corpi e davano loro fuoco con la benzina e in quel fuoco vide gettati vivi anche i disabili». La narrazione è intensa e la mente può solo tentare di immaginare quanto ascoltato; ma nessuno che non abbia vissuto da vicino qualcosa di simile può anche solo lontanamente immaginare. Si può solo tentare di “sentire”, chiudere gli occhi e provare a vedere quanto le parole descrivono. E questo è senza dubbio il motivo per cui la Shoah non può e non deve essere dimenticata.

«Mio padre fu liberato a Buchenwald – conclude Fiano – dopo essere stato spostato in tanti altri posti. Era l’11 aprile del 1945 e mio padre era in una delle baracche, con una setticemia, quando a un certo punto ha visto un’ombra stagliarsi nella luce della porta. Riconobbe un soldato americano, allora strisciò sui gomiti fino ai suoi piedi e gli abbracciò le gambe. Mi ha sempre raccontato del profumo che sentì in quel momento, qualcosa che non aveva più sentito perché ormai circondato solo dall’odore della morte. Era il profumo del sapone Lifebuoy, un sapone americano. Mio padre uscì dal campo che pesava 36 kg. Poi venne curato dagli americani con farmaci e antibiotici. Ma una volta tornato a casa ha mantenuto per anni il silenzio su quanto aveva vissuto. Però da allora mio padre ha sempre comprato quel sapone».

Due ore di testimonianza intensa, difficilmente sintetizzabili in poche parole. Al termine dell’intervento la Verdi Jazz Orchestra esegue “New Generation” un programma di quattro composizioni che rappresentano una riflessione sulla Shoah e sulla tradizione ebraica ed evocano la paura nella quiete di un ghetto prima della Notte dei Cristalli, segue un tema al quale gli ebrei si sono aggrappati per affrontare la tragedia della deportazione e l’arrivo nei Lager, una preghiera e infine la liberazione con il ritorno a casa.

Abbiamo chiesto all’onorevole Fiano cosa significasse per lui portare avanti oggi la testimonianza di suo padre Nedo e cosa occorrerebbe fare per coinvolgere maggiormente i ragazzi di oggi: «Cercare di far sì che questi ragazzi non siano indifferenti rispetto a ciò che li circonda, nel bene e nel male, perché la lezione che dobbiamo trarre dalla Shoah è che ciò che accadde fu possibile perché vi furono troppi indifferenti rispetto a quei crimini. Bisogna essere capaci di attualizzare la lezione della Shoah. Ci vogliono più ore di storia negli istituti superiori che oggi sono ristrette a due alla settimana per permettergli di distillare dalla storia del Novecento la lezione della Storia, che quando si restringono le libertà, quando si illudono le persone che questa restrizione delle loro libertà potrà migliorare la loro situazione qualcosa di terribile sta accadendo; si prepara il terreno fertile per la discriminazione, il razzismo e la violenza. Bisogna avere più tempo a scuola per spiegarglielo e bisogna moltiplicare occasioni come questa».

Presenti all’incontro anche due classi del CFP Afol di San Donato Milanese, le cui allieve hanno così commentato: «È stato un incontro significativo, perché abbiamo capito meglio come era difficile e brutto vivere in quel periodo e non poter più andare a scuola da un giorno all’altro e ancora peggio essere riconosciuti solo da un numero tatuato o morire nelle camere a gas. Noi siamo veramente fortunati perché abbiamo libertà e molti diritti, ma abbiamo anche dei doveri. Non sappiamo come l’onorevole sia riuscito a raccontare il profondo dolore che ha vissuto la sua famiglia, ha avuto molto coraggio e siamo contente che si sia offerto per raccontare a tutti noi la vita di suo padre per farci capire in che condizioni hanno vissuto e per quanto tempo tutti i deportati della Shoah».

Elisa Barchetta