Benedetta Murachelli, scrittrice e poetessa peschierese, ci parla della sua nuova raccolta

Una raccolta di poesie, scritte dal 1995 ad oggi, che racconta il quotidiano attraverso le metafore delle emozioni

Benedetta Murachelli

Benedetta Murachelli

Nata in montagna, cresciuta in pianura. Studi umanistici, svariati lavori, tre figli, otto nipoti e una valanga di interessi. 
Si descrive in queste semplici due righe Benedetta Murachelli nella sezione Biografia a lei dedicata. Scrittrice peschierese, energica nonostante i suoi 83 anni, dalla parlata spigliata, irriverente e con tanta voglia di fare, ha appena pubblicato la sua ultima raccolta di poesie intitolata Tra fuorvianti brezze.
7Giorni l’ha incontrata e intervistata dopo aver avuto il permesso di usarle la seconda persona.

Ciao Benedetta, grazie per averci dedicato del tempo e consci della sua importanza vedremo di sprecarlo il meno possibile. Iniziamo con lo scoprire come nasce questa raccolta?
«Tra fuorvianti brezze è un insieme di tutte le poesie che ho scritto dal 1995 ad oggi e poi abbandonavo in giro per casa. Sono molto disordinata perciò scrivevo e poi sistematicamente perdevo. Quaderni, agende, foglietti, tovaglioli, non hai idea di quello che ho ritrovato facendo questa raccolta. Non è stata una mia idea mettermi lì a cercarle. Sono stata praticamente obbligata dalla mia amica, Maria Bacchetti, che cura anche l’editing, sennò probabilmente non le avrei mai riprese e sistemate.
Per presentarlo diciamo che il libro è una raccolta di 150 poesie pubblicate in collaborazione con il sito ilmiolibro.it. Dovete sapere che non ho un bel rapporto con gli editori, tendono a intromettersi un po’ troppo nella struttura del libro».

Nella raccolta molte tue poesie nascono dal quotidiano, oggetti comuni acquistano un nuovo significato attraverso le parole, spiegaci.
«Una poesia non nasce per niente. Ad un tratto vedi una cosa che hai visto tutte le mattine e senza il bisogno di nessuna spiegazione assume un significato diverso, ti prende dentro, ti fa sentire parte di un mondo parallelo, superiore, direi interiore. Allora afferri il primo pezzo di carta a portata di mano, butti giù le tue righe, lasci riposare, lo riprendi e alla fine riesci a raccontare la vita attraverso delle metafore. La connoti in modi a cui non avresti mai pensato prima.
Una poesia impiega tanto tempo per formarsi nella tua testa. Puoi avere un flash con due, tre parole che rendano l’oggetto quotidiano più grande, più esteso, più allargato, connotandolo con sentimenti che non sono i suoi. Prendete ad esempio l’accostamento di parole tende-abbracciate: un oggetto comune che chiunque di noi ha in casa d’improvviso acquista una carica positiva. Abbracciare è un verbo di affetto. Ti limita ma con affetto, trasmette protezione».

Spiegaci come ti approcci alla poesia, come sei arrivata ad essere la poetessa che sei oggi.
«Per arrivare alla poesia bisogna percorrere delle strade programmate. Magari inizi a leggerla ma non è detto che ci legga poesia sappia fare poesia. È qualcosa che è un po’ con te, si trasforma e cresce; non è che d’improvviso nasce. Da piccola non mi esprimevo, ero timida, magari anche perché c’era il periodo tra gli anni ‘70 e ‘80 in cui la poesia veniva messa nei cassetti, però poi ad un certo punto è diventata quasi necessaria. Il giorno non ha più una misura, un peso. Il giorno diventa un’eternità, è fuori dalle coordinate cartesiane, spazio tempo. Al massimo si può esprimere in orizzontalità, verticalità e cerchi in quello che puoi vedere anche spiritualmente. Vai oltre, verso un altrove. L’altrove lo sentiamo, il metafisico e la poesia ti porta a quello. Ad un certo punto ti accorgi che tu non sei un confine. È difficile da esprimere, spero di essermi spiegata.
È comunque un’emozione. Un’emozione legata sempre alla cultura. Non esiste un’emozione che non sia legata ad una preparazione, sennò diventa una cosa spontanea che è insita del momento: godi della cosa che vedi tutto lì. L’emozione va costruita, educata, ricercata, impostata».

Che consigli daresti a chi la poesia piace? Leggere i romanzi, poeti contemporanei, i grandi classici?
«La prosa non la leggo più da tempo. Ormai mi nutro solo di poesia. Il romanzo è troppo lungo per la mia età, mi annoia. Forse solo i grandi classici. Per quanto riguarda le poesie vi dico subito che vanno sempre lette ad alta voce e tante volte. Non importa se non avverti subito il significato, ma l’importante è acquisire il ritmo. Ogni parola disperde un’infinità di semi. Nella poesia la parola non ha significato e il loro insieme deve creare ritmo, coinvolgerti e lasciarti qualcosa. Sono molto utili i corsi di semiotica poetica dove si impara la metodologia secondo la quale ci si avvicina il più possibile al significato delle poesie. È una vera e propria analisi dettagliata e rigorosa; ma mi raccomando leggete solo i poeti veri. Durante il Novecento sono state stampate un’immensità di poesie improprie quando i poeti, quelli veri, saranno stati al massimo una decina».

Grazie Benedetta.

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La copertina del libro

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