Felicità, libertà, utopia, realismo

A commento degli attentati jihadisti di Copenaghen

Padre Giuseppe Paparone o.p., sacerdote domenicano

A commento degli  attentati jihadisti di Copenaghen leggo un articolo del Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa in cui afferma una tesi che mi ha lasciato perplesso.  Partendo dall'assunto che “la felicità è un fatto individuale e la storia recente è costellata di esempi che dimostrano che tutti i tentativi di creare società felici – portando il paradiso in Terra – hanno creato dei veri e propri inferni, l’obiettivo dei governi deve essere quello di garantire la libertà e la giustizia, l’istruzione e la salute, di creare delle opportunità, mobilità sociale, di ridurre al minimo la corruzione, ma non quella di immischiarsi in questioni come la felicità, la vocazione, l’amore, la salvezza o le convinzioni personali, che appartengono al dominio del privato e nelle quali si manifesta questa benedetta diversità umana. Questa diversità deve essere rispettata, perché ogni tentativo di regolamentarla è sempre stato una fonte di calamità e di frustrazioni”.
Se alcune affermazioni in astratto sono condivisibili al tempo stesso  impongono una riflessione.  Questa tesi  non è, a sua volta, pura e irrealizzabile utopia? Siamo sicuri che la felicità sia così diversa per ciascuno?  Non cerchiamo forse tutti la realizzazione personale e l’armonia con le persone con cui quotidianamente viviamo? Può esistere una distinzione così netta tra individuo e società? Perché la società è un insieme organico e dinamico di persone, di individui concreti, dove i soggetti  si influenzano reciprocamente in un continuo divenire. 
Per arrivare al risultato descritto dal nostro autore ci vogliono persone educate a determinati valori, che condividano ideali e progetti comuni sul modo di concepire società e senso dell’esistenza. Senza tale comunanza ci sarà conflitto.  La società va pensata come una comunità verso la quale tutti si sentano responsabili, dove al  primo posto ci sono doveri e responsabilità verso il bene comune e le persone, con i conseguenti diritti. Se così non è, sogniamo  una società di assoluti dove ognuno fa quel che vuole ed è maestro e legge a se stesso. Per rispettare  la libertà altrui devo desiderare la felicità  mia e dell’altro. Per esercitare la giustizia devo essere giusto con me stesso e con gli altri. Per rispettare la libertà degli altri devo essere prima di tutto libero interiormente. 
Questo in un ottica positiva.  Ma che accade se io sono felice solo quando mi impongo agli altri e penso che la mia felicità consista nell’avere un posto di privilegio?  Se non sono spontaneamente in grado  di rispettare la libertà degli altri e desiderarne la felicità? 
Diciamolo:  siamo tutti un po’ egoisti, individualisti, egocentrici. Al  primo posto c’è il nostro benessere, la felicità  individuale.  Siamo restii a voler costruire, con generosità e impegno, una società migliore: aspettiamo sognando a occhi aperti che prima o poi questa utopia si realizzi. Credo che l’unica cosa da fare, se vogliamo essere felici e vivere in una società giusta e che ci aiuti a realizzare la nostra felicità, sia  metterci al lavoro con impegno e generosità incominciando a costruire nel nostro mondo interiore tutti quei valori che attendiamo siano presenti nella società nella quale viviamo.
Fra Giuseppe Paparone o.p.