Giornata della Memoria, la necessità di andare oltre

di Davide Zanardi.
Leggere, ascoltare, raccontare, istruirsi, approfondire. Ma che cos'è realmente una commemorazione, se non una marcia di avvicinamento verso un mondo migliore? Questo potrebbe - o dovrebbe - essere il senso più profondo di un evento come la Giornata della Memoria. Ricordare l'assurda tragedia dell'Olocausto non è da intendersi solo come un omaggio al popolo ebraico. Certo, tra i tanti crimini perpetrati dai nazisti, l'eccidio freddo e calcolato di un intero popolo è un'idea di un orrore così esasperato che ancora adesso stenta ad essere concepita.

Oggi ci troviamo di fronte a una realtà interessante. A distanza di 70 anni, la maggior parte delle persone che hanno vissuto, direttamente o indirettamente, quelle drammatiche esperienze non ci sono più. Eppure la Giornata della Memoria sembra essere celebrata ogni volta con grande vigore, per lo meno sul piano formale. Attenzione, però. Non si capisce bene se questo interesse per la materia si sposi poi concretamente con una vera cultura della tragedia, che non consiste unicamente nel ricordare quei "poveri ebrei", ma nel far crescere nelle generazioni che vengono e che verranno una consapevolezza della storia, e di conseguenza del bene e del male, che sarà l'unica àncora di salvezza per evitare il ripresentarsi in futuro di qualcosa di simile. E purtroppo questo piccolo ma fondamentale passaggio sta venendo gradualmente meno. Ad essere responsabili dell'annebbiamento della realtà sono spesso le stesse istituzioni, che da un lato promuovono ricorrenze internazionali ma dall'altro, ad esempio, tolgono dai programmi scolastici l'insegnamento dell'educazione civica o non si preoccupano di dedicare neanche qualche sporadica lezione all'approfondimento dei diritti dell'uomo. Anche la politica, al di là del velo di Maya buonista e pacificatore, non perde occasione per piantare semi velenosi tra le pieghe vulnerabili dell'opinione pubblica, utilizzando la Giornata della Memoria come un proprio strumento di difesa o di offesa, a seconda dell'occasione. Vengono in mente le parole di Hannah Arendt, "la banalità del male". Nella Shoah di banale non vi è apparentemente nulla, se non quell'aura di normalità e di routine con cui le gerarchie tedesche studiarono ed applicarono un piano di sterminio di tale portata. Oggi, a continuare a spaventare è soprattutto la banalità della nostra ignoranza.