Je suis charlie? Je suis libertè? Moi, je suis celui qui chèrche la paix........

La riflessione "a freddo" di padre Giuseppe Paparone sui fatti di Parigi

Passata la sbornia mediatica e l’onda emotiva che come uno tsunami ha letteralmente travolto i mezzi di comunicazione di massa, una riflessione seria e ponderata sull'attentato al giornale satirico parigino si impone. Tanto più perché i giornalisti del settimanale satirico Charlie Hebdo rivendicano il diritto di espressione assoluto, senza alcuna riserva, includendo il diritto alla libertà di blasfemia.
Sono stati riportati ampiamente i fatti e gli effetti dell’attentato e si è provato anche a mettere in luce le cause che hanno determinato quel tragico evento, che ha toccato le coscienze di tutti. Anche noi, adesso,  con un po’ più di lucidità, possiamo provare a fare un po’ di ordine contando sul distacco che la distanza temporale può dare alla lettura del eventi.
In primo luogo dobbiamo essere consapevoli che si è creato uno scontro tra due culture, già molto diverse per storia e tradizioni, uno scontro vissuto a livelli diversi, sia  sul piano personale che su quello politico, sia in una forma sfumata che in una forma dichiarata. 
Al momento, nel sentire popolare, queste due culture sembrano difficilmente conciliabili perché richiedono da entrambe le parti un enorme sforzo di adattamento reciproco  culturale e sociale che, attualmente, non è realmente cercato.
In secondo luogo dobbiamo cogliere l'importanza delle dichiarazioni di tutti sulla necessità di mettere al bando la violenza, che va, comunque, stigmatizzata, anche perché l’imposizione forzata non può  essere la soluzione del problema.
Ma si parla di violenza solo quando scorre il sangue, quando si uccide?
Non esiste forse anche una violenza verbale, dei gesti, delle scelte sociali, del rifiuto aprioristico, dei pregiudizi, della generalizzazione, che elimina, di fatto,  l’individuo come soggetto e nell'immaginario lo assimila a una cosa, a un numero? 
La violenza deve essere rifiutata sempre e in tutte le sue espressioni se si desidera vivere in una società pacifica e rispettosa.
Infine non ci si può non porre la seguente domanda: Che cos'è la  libertà? 
È qualcosa che non ha un limite invalicabile di comportamento e di azione o è qualcosa che trova il limite dove inizia la libertà di un altro? È chiaro che se la mia libertà invade il campo di un altro uccide la sua.
Questo assioma generale vale per la libertà di espressione, di opinione, di stampa, che trova il confine nello stesso diritto dell'altro e non può, pertanto, sconfinare nella violenza verbale, nell'oltraggio, nella rappresentazione offensiva di figure che sono importanti perché legate al sentire più profondo delle persone.
Non c'è, forse, qualcosa di sacro e di inviolabile per ognuno di noi, che impone un limite, che segna un confine invalicabile?
 Tutti siamo convinti che ogni individuo è soggetto della medesima dignità in quanto persona umana,  ma questa dignità, di fatto, a che cosa attiene? Solo alla sua parte fisica, a quella sociale o anche al suo pensiero, alla sua cultura, ai suoi valori ?
Quello, poi, che lascia veramente perplessi è il fatto che si è parlato molto di condanna della violenza riferendosi a questo caso, dimenticando di stigmatizzare anche le grandi violenze avvenute in Nigeria, in Siria e in altri Stati in cui continuano a imperversare guerre e persecuzioni.
Resta un’ ultima, ma determinante domanda: Che cosa possiamo fare noi per aiutare la società a liberarsi dalla violenza? 
E più ancora: Che cosa sono disposto a fare io, personalmente ? 
Interroghiamoci e agiamo: l’oceano è fatto di gocce….. altrimenti è tutto retorica e vuoto esercizio verbale.