Noi degli anni Cinquanta, generazione della delusione e della speranza

Una domanda: la generazione dei nati negli anni Cinquanta è quella dei baby boomers – i figli del miracolo economico – o quella di chi mezzo secolo dopo è stato cassaintegrato? E noi trentenni di oggi siamo le vittime della crisi o ne siamo gli artefici? Siamo – come ha detto Beppe Grillo – i “figli dei padri puttanieri” o siamo compartecipi dei disastri della nostra classe politico-dirigenziale? Basta cambiare angolatura e prospettive apparentemente opposte convergono in una mezza verità che non lascia scampo.

Una certezza è che ultimamente si sono affacciate alla ribalta identità che fino a poco tempo prima sembravano inimmaginabili. Ad esempio, il pensionato che mantiene il figlio quarantenne e relativa famiglia. O il cinquantacinquenne che dopo una vita di onorato lavoro si ritrova a casa, senza impiego e senza pensione. Esodato, né carne né pesce. Troppo giovane per avere diritto alla previdenza; troppo vecchio per sperare di ricominciare a lavorare.
Del resto, anche a noi che siamo relativamente più giovani, dissero fin dall’inizio: studiate perché senza un titolo non sarete nessuno. E studiammo. Poi, quando finimmo di studiare, ci dissero: peccato che abbiate buttato via tutto quel tempo, facevate meglio a imparare un mestiere. A quel punto era troppo tardi, e non era solo una questione anagrafica: avevamo maturato la certezza che nel nostro dna era scritto che non saremmo mai stati imbianchini, elettricisti o muratori. Anzi, per dirla tutta ci eravamo abituati a schifare non soltanto i lavori manuali, ma anche quelli impiegatizi, il posto sicuro e lo stipendio il 27 del mese. Noi pensavamo di valere di più, di diventare protagonisti delle “magnifiche sorti e progressive”. 
Forse ci eravamo bevuti troppe fregnacce. O forse ci eravamo solo sopravvalutati. Oggi la menzogna più grande sarebbe dare tutta la colpa alla crisi economica. Vorrebbe dire auto-condannarci a un’esistenza intera di apatia e commiserazione. Ogni epoca ha i suoi mostri – reali e mentali – da esorcizzare. Per farlo è indispensabile convincersi che la nostra vita, dopotutto, è nelle nostre mani. Saldamente e coraggiosamente. Essere delusi è legittimo. Tenere aperto l’oblò della speranza è un dovere.
Davide Zanardi