Perdere la casa a 80 anni. E andare a vivere sui treni

Avere 80 anni e vivere sui treni? Non è uno scherzo. Qualcuno forse avrà letto dalle pagine del "Corriere della Sera" la storia di Silvano, infermiere in pensione, che da quasi un anno ha scelto i vagoni come abitazione. Senza famiglia, sfrattato dalla propria casa e in attesa che il Comune gli assegni un alloggio a canone agevolato, passa le giornate - e le nottate - in giro tra i paesi di Piemonte e Liguria, usufruendo del tesserino che gli consente di utilizzare gratuitamente i treni.

La notizia è curiosa e fa anche un po' di tenerezza. Non è probabilmente neppure un caso isolato. Chi perde la casa ultimamente si arrangia come può. C'è chi torna a stare coi genitori, chi viene ospitato nelle strutture di accoglienza, chi si rifugia nella propria auto. Come quella donna di Frosinone che dopo aver ricevuto lo sfratto esecutivo, si era ritrovata in strada - anzi, in macchina - assieme ai suoi 4 figli. 
Il racconto dell'infermiere Silvano però non parla di autocommiserazione. Anzi, il suo girovagare di treno in treno e di stazione in stazione è ricco di esperienze e di conoscenza. Tra una capatina dagli amici salesiani di Alassio e una nottata a suonare la chitarra con un gruppo di ragazzi in uno scompartimento, c'è tempo per riflettere, per rilassarsi e anche per imparare. Il suo bicchiere appare mezzo pieno, anche se a 80 anni "la notte vorrei dormire nel mio letto".
È ovvio che storie come queste rappresentano in modo sfacciato una certa deriva che le società del benessere prendono quando scelgono di non occuparsi più dei bisogni essenziali dei propri cittadini: la sussistenza, la casa, la salute, l'educazione. D'altro canto, non c'è forse luogo al mondo in cui l'arte di arrangiarsi raggiunge dei picchi così elevati come nel nostro paese. E allora vivere sui treni a 80 anni può non essere la cosa peggiore al mondo. Con un po' di poesia e molta inventiva, si può fare. In attesa, chiaramente, di un tetto sopra la testa e di un letto caldo. 
Davide Zanardi