Riforma del lavoro: tutto qui? Cambia tutto, non cambia niente

Mentre l'informazione ufficiale (cioè, ahinoi, quella televisiva e della carta stampata) sceglie come sempre l'indirizzo più scontato e superficiale - la polemica sulle modifiche all'articolo 18 - nessuno riesce a intuire per quale motivo il disegno di legge produrrà effetti positivi sul mondo del lavoro e sui lavoratori. Anzi, le contraddizioni sembrano tante, a partire proprio dal tema dei licenziamenti legittimi e illegittimi, dove i maggiori poteri dati ai tribunali rischiano di spalancare le porte a una paralisi totale, determinata dalle innumerevoli azioni legali che virtualmente potranno essere intraprese. Anche le modifiche del trattamento riservato al popolo delle partite Iva, per quanto legittime e ben formulate, nascondono insidie. Giusto riconoscere l'assunzione - anche se a tempo determinato - per collaborazioni superiori ai 6 mesi nell'arco di un anno, ma se poi il datore di lavoro non vuole assumere cosa succede? Liquida il collaboratore e ne prende un altro? E se proponesse 6 mesi “in nero”? Il Governo in un certo senso sta lavorando bene, ma i riconoscimenti delle «entità superiori» - Unione Europea, Fmi, Ocse - non bastano. Per caso, sono quattro regole nuove al posto di quattro regole vecchie a far sì che gli stipendi si alzino e che si riesca ad acquistare una casa prima di avere i capelli bianchi? Qualcuno si sente effettivamente più ricco rispetto a novembre, ora che lo spread è calato? Rischiamo di scadere nel ridicolo. Monti merita rispetto, ma se vuole essere ricordato come un importante statista deve passare il prima possibile dalla forma alla sostanza. La vera sfida, quella più difficile ma anche la più nobile, è quella di riuscire a fare tornare il lavoro un bene meno raro di quanto sia adesso.