Roma in deficit: quando la realtà incontra la fantasia

di Davide Zanardi.
Quando Obama nel 2008 vinse le elezioni presidenziali, dichiarò: «L'America è il luogo dove tutto è possibile». Certo, l'inquilino della Casa Bianca sa il fatto suo, ma se conoscesse bene l'Italia c'è da pensare che cambierebbe senza indugio il soggetto della sua celebre affermazione. Ad esempio, è più incredibile eleggere un presidente di colore negli Usa o riuscire a far fallire la città di Roma?

Alla luce del decreto legge approvato d'urgenza dal neo governo Renzi per cercare di salvare la capitale dal disastro finanziario, ci si domanda veramente se siamo un paese così particolare oppure nel mondo conosciuto c'è qualche altra nazione che può offrire un parallelismo con le nostre disgrazie. In realtà, c'è da sperare di no, perché condividere il male sarà anche un mezzo gaudio, ma non si può avere in odio qualcuno a tal punto da augurargli una sorte simile a quella della sciagurata cosa pubblica italiana. Roma, per mettere i puntini sulle 'i', è una delle tre-quattro città più visitate al mondo a livello turistico. Non occorre neanche accennare all'importanza che ha sul piano economico e politico né al patrimonio storico-culturale-artistico-monumentale di cui dispone, per arrivare all'affrettata conclusione che un buco di 1 miliardo di euro da parte di una simile super-potenza sembra al limite della fantasia. Eppure così è, se vi pare. La seconda cosa più sorprendente è poi scoprire che gran parte di questa immensa voragine economica è causata dalle aziende municipalizzate - Atac, Ama, Acea - che gestiscono i servizi pubblici: trasporti, raccolta rifiuti, erogazione dell'energia e dell'acqua. Sorprendente perché, chi vive a Roma o anche semplicemente chi di tanto in tanto ci passa qualche giorno di vacanza, può toccare con mano i non-servizi offerti da queste realtà che contano al loro interno oltre 31.000 dipendenti. Ma allora di che è la colpa? Semplice, di nessuno. L'attuale sindaco Marino dice che è di Alemanno, il quale a sua volta incolpa Veltroni e così via, fino a tornare indietro all'alba dei tempi, quando Roma non disponeva ancora di un Consiglio comunale ma di due consoli e un senato. In questa sindrome da perfetto fatalismo italico, in fin dei conti, arriva sempre lo Stato a mettere le pezze, con il consueto rapidissimo decreto-legge (a proposito, come mai il salva-Roma è formulato e approvato in 24 ore e per la legge elettorale si è al palo da 9 anni?). Quindi il Campidoglio avrà i suoi soldi, che arriveranno in busta chiusa con la firma di Renzi in persona, e noi - popolino addormentato - ci sorbiremo un'altra volta una tassa in più di qua e un'accisa in più di là. Perché è giusto che tutti mettano mano al portafogli e facciano la loro parte, per contribuire a questo ennesimo italico disastro.