Doveri dei genitori nei confronti di un figlio disabile divenuto maggiorenne

«Il diritto al mantenimento, non si prescrive mai, il che significa che può essere azionato in qualsiasi momento»

L'Avvocato risponde -

L'Avvocato risponde - Lugi Lucente

«Sono la madre di un ragazzo di 34 anni con disabilità certificata del 100%»

Buongiorno,
Sono la madre di un ragazzo di 34 anni affetto da tetraplegia spastica dalla nascita, con disabilità certificata del 100%.
Io e il padre  non  ci siamo mai sposati , Emilio però è stato riconosciuto e porta quindi il cognome del padre, il quale comunque  non  ha mai contribuito al mantenimento sia quando Emilio era minorenne sia dopo la maggiore età. Di mio figlio me ne occupo da sola fisicamente ed  economicamente .  il padre per altro vive ormai da anni in Ungheria dove si è sposato ed ha  un figlio . Io sono molto preoccupata per il futuro mio e di mio figlio oltre che provata per il costante e  debilitante impegno fisico quotidiano necessario. Chiedo se e con quali modalità potrei ottenere dal padre di contribuire al sostentamento di Emilio. Il padre è ora diventato erede di quota di eredità su di un immobile qua in italia, credo potrebbe essere l unica possibilità che rimane ad Emilio di vedersi riconosciuto qualche cosa dal padre. Padre che gli ha negato oltre che il sostegno economico anche l affetto e qualsivoglia altra forma di interessamento.

Grazie per l attenzione .
Maria Lucia




Gentilissima Sig.ra Maria Lucia,
dalle sue domande e dal tenore della sua lettera, nella quale non mi parla di nessuna decisione assunta nell’interesse morale e materiale di Emilio da parte di un Giudice, deduco - insieme alla collega Simona Tesolin che ha studiato con me la vicenda che ha voluto narrare a 7giorni - che in questi anni dalla nascita di suo figlio Emilio non abbia mai intrapreso alcuna iniziativa formale per far assumere al padre le proprie responsabilità di genitore, facendosene Lei interamente carico.
E’ inutile ricordare come crescere un figlio comporti certamente un impegno importante, moralmente, psicologicamente e anche economicamente, che aumenta esponenzialmente quando sia portatore di una disabilità.
Per una persona speciale, infatti, la famiglia è più che mai indispensabile e lo sarà per tutta la vita.
Da qui l’incommensurabile desiderio – che diventa contestualmente prioritario motivo di ansia e di costante apprensione - di assicurare ad un figlio disabile un futuro dignitoso, anche per la denegata ipotesi un domani, per qualsivoglia motivo, non si fosse più in grado di proteggerlo.
Questo è ciò che, con grande dignità ci ha espresso nella sua lettera e che comprensibilmente prova come madre, poiché, oltre ad esserlo biologicamente e giuridicamente, si sente tale nella sua intimità.
L’esperienza che ci ha brevemente accennato, tuttavia, è la dimostrazione che non basta essere genitori per assumersi le proprie responsabilità.
Il Legislatore, dunque, ha dovuto introdurre delle regole ben precise per tutelare il bene e gli interessi dei figli, laddove i genitori non provvedano spontaneamente, e, nel tempo, questa tutela è stata estesa, dapprima a livello giurisprudenziale poi anche a livello normativo, anche ai figli nati al di fuori del matrimonio.
Dal primo gennaio 2013, infatti, è entrata in vigore la Legge 10 dicembre 2012 n. 219 “Disposizioni in materia di filiazione” che, fra i vari obiettivi che si è proposta di raggiungere, ha avuto il fondamentale merito di aver del tutto eliminato lo “status” di figlio naturale, di figlio adottivo e di figlio legittimo, con creazione di un unico “status”: quello di figlio.  
Inoltre, l’art. 337 septies del Codice Civile, prevede che ai figli maggiorenni portatori di handicap grave - ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 - si applichino integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.
In considerazione dell’invalidità certificata in capo a Emilio del 100%, si tratta di un giovane maggiorenne che non ha le potenzialità per diventare, con le proprie risorse, economicamente autonomo, né potrà esserlo in ogni aspetto della sua vita.
La giurisprudenza si è trovata in più occasioni a discutere in che modo debba essere inteso quanto prescritto dal richiamato articolo 337 septies del Codice Civile, e non mancano decisioni di merito, come ad esempio quella del Tribunale di Potenza del 12.01.2016,  che hanno suggerito dei criteri di interpretazione della normativa che tengano conto delle situazioni peculiari dei singoli casi, non esaurendo semplicisticamente i doveri di assistenza nei confronti di un figlio nella sola erogazione di contributo economico, ma considerando il concetto di “cura” in senso molto più ampio, come il complesso di attenzioni, di premura e di ausilio di cui il figlio necessita per vivere la propria quotidianità.
L’opinione decisamente prevalente, tuttavia, ritiene che il richiamo integrale alle norme in materia di minori non possa essere certamente riferito all’affido posto che con il raggiungimento della maggiore età viene meno la presunzione legale di incapacità e, dunque, qualora il soggetto risulti privo della naturale capacità di intendere e di volere si dovrà far ricorso ad altri istituti giuridici (quali, a seconda dei casi, l’amministrazione di sostegno, ovvero l’interdizione o l’inabilitazione).
Conseguentemente, conclude che vadano estese al maggiorenne gravemente disabile le sole norme che siano compatibili con la ratio dell’intervento normativo e, quindi, primo fra tutti, il diritto al mantenimento, che – si badi bene – non si prescrive mai, il che significa che può essere azionato in qualsiasi momento, nonostante, come – mi pare di capire - nel suo caso, non sia mai stato richiesto prima un contributo al genitore non convivente.
Inoltre, in virtù del principio di parità fra genitori nell’adempimento dei doveri nei confronti della prole, anche a Lei in qualità di madre è riconosciuto il diritto di vedersi rimborsate le spese anticipate in favore di suo figlio (Cassazione Civile, sezione I, 19.02.2016; Tribunale di Milano, sentenza del 23 luglio 2014, sezione IX).
Nel caso trattato dal Tribunale di Milano appena citato, la madre di una bambina nata al di fuori del matrimonio ha ottenuto il riconoscimento di € 35.900,00 a titolo di arretrati per un periodo di 12 anni (dal 2000 al 2012).
Purtroppo, però, bisogna tener presente che la legge prevede che questo diritto, che tecnicamente si definisce di regresso nei rapporti tra condebitori solidali, si prescrive decorsi 10 anni dalla data di riconoscimento del figlio, pertanto, se il padre di Emilio lo ha riconosciuto alla nascita, gran parte delle somme maturate, oggi, purtroppo, potrebbero non essere più ripetibili (Cfr. sentenza del Tribunale di Roma sentenza del 1 aprile 2014 n. 7400).
Ciò premesso, quello che le posso consigliare, in considerazione anche della delicatezza e delle tante sfaccettature che il suo caso presenta, è di rivolgersi ad un avvocato che possa aiutarla nel percorso che si dovrà intraprendere se si intende obbligare il padre di Emilio ad assumersi le sue responsabilità.
Il professionista a cui deciderà eventualmente di rivolgersi, dopo aver valutato concretamente il suo caso, potrà chiedere al Tribunale competente per territorio di porre a carico del padre un contributo economico che dovrà essere calcolato, tenuto conto, della situazione patrimoniale di Emilio (eventuali pensioni di invalidità, etc.); delle sue necessità e del suo stato di salute - senza tener conto dell’eventuale accompagnamento erogato in suo favore, poiché emolumento avente carattere assistenziale, indipendente rispetto al mantenimento dovuto dai genitori – e tenuto conto, altresì, delle sostanze e delle possibilità economiche del padre.
Il Tribunale, per inciso, sarà comunque tenuto a pronunciarsi, anche nell’ipotesi in cui il padre di Emilio dovesse decidere di disinteressarsi anche delle vostre iniziative giudiziarie.
Inoltre, in considerazione del comportamento di totale indifferenza nei confronti del figlio da parte del padre in tutti questi anni, nonché anche in considerazione del fatto che ormai vive all’estero, potrebbe chiedersi al Giudice di imporre al padre di Emilio di prestare idonee garanzie, di carattere personale e/o reale, a tutela dell’effettiva corresponsione dell’assegno di mantenimento eventualmente stabilito.
Ai sensi dell’art. 3 co. 2°, Legge 219/2012, infatti: “Il giudice, a garanzia dei provvedimenti patrimoniali in materia di alimenti e mantenimento della prole, può imporre al genitore obbligato di prestare idonea garanzia personale o reale, se esiste il pericolo che possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi suddetti”.
La quota di proprietà di cui mi scrive potrebbe, appunto, fungere da garanzia in tal senso.
Purtroppo, allo stato, il procedimento applicabile in caso di figli naturali segue le forme di un rito, che, a differenza di quelli per separazione e/o divorzio, non prevede l’adozione di provvedimenti provvisori e urgenti nell’interesse della prole.
Inoltre, oggetto di ampia discussione in dottrina e giurisprudenza è la possibilità di richiedere una tutela anticipatoria onde evitare che i tempi – lunghi – di un giudizio risultino pregiudizievoli per la prole.  
Orbene, la riforma in materia di filiazione del 2012 di cui si è detto ha previsto che per assicurare, che siano conservate o soddisfatte le ragioni del creditore in ordine all'adempimento degli obblighi di mantenimento da parte del genitore non convivente con il figlio, a fronte di un credito liquido e accertato, il  Giudice possa anche disporre il sequestro dei beni dell'obbligato  secondo  quanto previsto  dall'articolo 8, settimo comma, della legge 1º dicembre 1970, n. 898 (Legge sul divorzio) e possa anche ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all'obbligato, di versare le somme dovute  direttamente  agli  aventi diritto, secondo quanto previsto dall'articolo  8,  secondo  comma  e seguenti, della legge 1º  dicembre  1970,  n.  898.
Esiste però un vuoto di tutela finalizzata a scongiurare eventuali danni conseguenti all’inadempimento dell’obbligazione alimentare, per ciò che concerne la fase precedente l’instaurazione del procedimento.
L’art. 146, ultimo comma, del Codice Civile, infatti, prevede, sì, la possibilità del sequestro dei beni di uno dei genitori nella misura atta a garantire gli obblighi di contribuzione in favore della famiglia e dei figli, ma fa parte del capo relativo ai diritti e doveri che nascono dal matrimonio e si tende ad escludere la sua applicabilità alle famiglie di fatto.
In astratto si potrebbe, quindi, pensare di ovviare con una misura cautelare atipica ex art. 700 c.p.c., ma anche sul punto si nutrono fortissimi dubbi, in dottrina e giurisprudenza, circa la sua ammissibilità in questa particolare materia.
A solo titolo esemplificativo, il Tribunale di Milano ha giudicato non ammissibile la tutela cautelare in materia del diritto di famiglia (Trib. Milano, aprile 2013).
Si tratta, comunque, di rimedi, di cui andrebbe valutata, oltre che la fattibilità, anche l’utilità in relazione alle peculiarità del caso, che andrebbero debitamente approfondite con ulteriori informazioni che mi mancano.
Da tenere, infine, presente che l’inadempimento dell’obbligo alimentare, a fronte di un effettivo stato di bisogno di Emilio, potrebbe rilevare, altresì, sul piano penale integrando la fattispecie di cui all’art. 570 c.p. che sanziona la “violazione degli obblighi di assistenza familiare”.

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1 commenti

Virginia tripoli :
Sono divorziata mio marito ha due figli con me uno con la seconda e nel 2000 ha sposato una terza donna con cui no ha figli.Ora il figlio grande da circa 15 anni soffre di attacchi di panico.Sperando di aiutarlo ad inserirsi nel mo ndo del lavoro mi sono trasferita da cz a Vicenza.Purtroppo qui gli hanno riconosciuta una invalidità del 100.Il padre non si è fatto prorio vedere e gli passa solo 100e al mese.ho sempre provveduto io ai ragazzi.Ora cosa dice la legge?Sono cresciuti. Orfani se ne andò che erano piccoli.Grazie | martedì 10 ottobre 2017 12:00 Rispondi