È giusto un trasferimento di lavoro a 100km da casa senza consenso nè rimborso spese? Il lavoratore si può opporre?

Egregio Avvocato,
avrei bisogno di un parere per quanto riguarda la mia situazione lavorativa.
Mi è stato comunicato che dall'inizio del prossimo mese sarò trasferita presso la società holding con una nuova mansione e con un'altra sede lavorativa che dista più di 100 km da casa mia.

Mi è stato detto che per problemi economici verrò trasferita con il medesimo compenso e livello contrattuale; oltre a questo non mi verrà corrisposto né un rimborso spese né la possibilità di utilizzare un’auto aziendale in quanto quella è la mia nuova sede di lavoro. Posso essere trasferita di società e di sede senza il mio consenso e senza avere una qualche forma compenso maggiorativo?
Monica

Gentile Signora Monica,
nel prestare riscontro alla Sua gentile domanda, Le segnalo, anzitutto, che nell’ambito della rubrica “L’Avvocato risponde” su7giorni ho già avuto modo di approfondire il tema relativo al trasferimento nell’articolo pubblicato il 15 gennaio 2012, al quale La rimando per quanto concerne la disciplina generale della fattispecie (cliccare qui).

Fermo restando che il datore di lavoro, nell’ambito del suo potere direzionale, può unilateralmente decidere di far svolgere la prestazione di lavoro in luogo diverso rispetto a quello indicato nel contratto di lavoro attraverso il trasferimento del dipendente, la Legge prevede dei limiti all’esercizio di tale potere.
Dunque, al fine di stabilire la legittimità dell’atto di trasferimento concretamente attuato nel Suo caso, l’attenzione deve essere focalizzata sulla sussistenza o meno delle condizioni che consentono al datore di lavoro di assumere tale provvedimento.
La situazione da Lei descritta va attentamente valutata tenendo conto delle specifiche circostanze che la caratterizzano. Lei mi riferisce, infatti, che il provvedimento in questione prevede il Suo trasferimento presso la società holding, lasciando intendere che attualmente Lei svolge la prestazione lavorativa non presso la holding, ma presso una società dalla stessa controllata.
In primis va chiarito che la holding è il soggetto (società di persone, di capitali, cooperativa o consortile, irregolare o di fatto) che all’interno di un gruppo di imprese esercita attività di direzione e coordinamento nei confronti delle altre imprese facenti parte del gruppo e denominate controllate. Essa può limitarsi a gestire le proprie partecipazioni nelle altre società del gruppo (c.d. holding pura), oppure esercitare, oltre all’attività di direzione e coordinamento sulle proprie controllate o collegate anche una attività di produzione e di scambio (c.d. holding impura).

Le controllate sono soggetti autonomi e indipendenti tra loro che svolgono proprie attività imprenditoriali e sono sottoposte alla direzione della holding. Ciascuna società appartenente al gruppo, compresa la holding, è titolare esclusiva dei rapporti di lavoro subordinato con i propri dipendenti, senza che i relativi obblighi si estendano alle società del gruppo.
Ebbene l’articolo 2103 del Codice Civile dispone che il lavoratore non può essere trasferito da una unità produttiva a un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Ogni patto contrario è nullo.

Per poter parlare di  “trasferimento”, quindi, secondo il disposto normativo sopra citato, lo stesso deve avvenire nell’ambito della stessa società. Per unità produttiva si intende, infatti, la consistente e vasta entità aziendale che – eventualmente articolata in organismi minori, anche non ubicati nel territorio del medesimo Comune – si caratterizzi per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e amministrativa tali che in essa si esaurisca l’intero ciclo relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell’attività produttiva aziendale.

Ciò premesso, nel Suo caso, se abbiamo ben interpretato il quesito, non si può configurare un trasferimento, perché Lei sarebbe chiamata a rendere la prestazione lavorativa presso società diversa (la holding) rispetto a quella con cui ha instaurato il rapporto di lavoro subordinato (società controllata).
Holding e società controllata rappresentano due soggetti giuridici distinti ed autonomi.
Dunque poiché la holding sarebbe per Lei un nuovo datore di lavoro, ne consegue che il “trasferimento” paventato nel provvedimento intimatoLe comporterebbe, in realtà, la cessazione del rapporto di lavoro con la controllata e la sottoscrizione di un nuovo contratto di assunzione con la holding.

Nella specie, semmai, si potrebbe configurare, sempre che ne sussistano i presupposti, l’ipotesi del distacco che ricorre quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività  lavorativa.

Come per il trasferimento così anche per il distacco non è necessario il consenso del lavoratore.

Secondo quanto da Lei descritto, quindi il trasferimento de quo è impugnabile in quanto non sussistano le condizioni di cui all’art. 2103 c.c..

Per quanto concerne, invece, la seconda parte del quesito, ovvero eventuali compensi spettanti al lavoratore in ipotesi di trasferimento, Le segnalo, Sig.ra Monica, che, generalmente, la contrattazione collettiva disciplina il trasferimento sotto il profilo economico, prevedendo la corresponsione di specifiche indennità a favore del lavoratore, oltre al rimborso delle spese sostenute per lo spostamento in altra località.
Secondo il pressoché unanime orientamento giurisprudenziale l’indennità ha natura retributiva e quindi è computabile negli altri elementi retributivi, se non è espressamente esclusa da accordi collettivi o individuali.

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1 commenti

antonio sica :
Lavoro presso una azienda da tre anni e mezzo ,con indeterminato,svolgo attività di expediting presso i fornitori della ns ditta controllando l'avanzamento produttivo,ho sempre usato,dal primo giorno di lavoro, la mia auto per coprire i percorsi del piano che prevede le visite settimanali ,,parliamo di circa 1200 km,più o meno 5000 km al mese.Ovviamente ho sempre ricevuto i rimborsi dei chilometri percorsi, delle spese di autostrada e dei pranzi.Da qualche mese hanno aumentato il rimborso chilometrico del 33%, il che non è poco,permettendomi di ritrovarmi a fine mese una somma interessante oltre lo stipendio.Notare che l'aumento è stato ufficializzato dalla direzione aziendale per incentivare gli impiegati ad usare la propria auto tramite circolare interna via mail. Ciò premesso vorrei porvi una domanda e cioè:possono obbligarmi a usare l'auto aziendale visto che nel contratto da me firmato non era contemplata?Perchè proprio ora l'auto,dopo l'aumento della tariffa chilometrica?Adesso che la situazione economica è favorevole a me,prima dell'aumento dell'auto aziendale neanche l'ombra.Vi chiedo cortesemente un aiuto su come comportarsi in questa situazione.Grazie anticipate per eventuali risposte in merito. Cordiali saluti Sica Antonio | domenica 28 settembre 2014 12:00 Rispondi