Il Referendum Costituzionale non è una buona idea

L'elettorato è chiamato a pronunciarsi sui propri mal di pancia. L'opinione di Giancarlo Trigari

«Non approvo l'intero pacchetto, se i quesiti fossero distinti si potrebbe esprimere una preferenza ragionata» afferma una mia cara amica, a proposito del Referendum Costituzionale.
Non sono d'accordo, prima di tutto perché renderebbe il Referendum ancora più astruso, per la gente comune, di quanto non lo sia ora. 
Ma anche perché la bocciatura di singoli quesiti potrebbe stravolgere la riforma o addirittura renderla inapplicabile se lo spacchettamento non tenesse accuratamente conto di questi aspetti, ipotesi non da escludere.
La mia amica è anche del parere che il quesito referendario sia più uno slogan che un riferimento esauriente ai contenuti.
In Parlamento la legge costituzionale è stata accompagnata da una relazione di 318 pagine e una sintesi di 50 pagine. Non mi pare sensato pretendere che qualcosa di più del titolo compaia su una scheda dove si sceglie SI o NO.
Teoricamente è più sensato fare in modo che tutti possano documentarsi adeguatamente per arrivare nella cabina elettorale nella condizione di non dover leggere il titolo per tracciare la croce su una delle due alternative proposte, cosa che probabilmente non capita a nessuno, perché in questo caso semplicemente non va a votare.
Sicuramente non leggono il quesito coloro che esprimono un voto di schieramento, avendo raccolto sollecitazioni che quasi sempre non hanno nulla a che fare con i contenuti della riforma.
Dal momento che costoro rischiano di essere la maggioranza, anche per questo ritengo che l'istituto del Referendum per la Riforma Costituzionale sia una pessima idea.
È vero che si tratta di un obbligo sancito nella Costituzione, ma la sua incongruità attuale nasce anche da considerazioni più generali.
Il bilancio dello Stato prevede l'esborso di fior di quattrini per pagare persone, scelte dalla comunità per dedicarsi a tempo pieno alla stesura di leggi, supportati da schiere di funzionari ministeriali, e il 4 dicembre arrivo io con le scatole girate perché il mio capo mi ha maltrattato, e votando mando in fumo anni di lavoro di costoro, che io ho pagato di tasca mia. Oppure il portinaio mi ha riferito che ad un suo collega l'onorevole ha raccomandato di votare si, e emulandolo innesco un processo dannoso per i miei interessi. Se non vado a votare, invece, non c'è quorum, e gli altri decidono al posto mio su aspetti di cui prima o poi pagherò le conseguenze. Nel frattempo circola un astio incomprensibile.
Esempi banali ma realistici di come la Riforma Costituzionale sia nelle mani di chi non ha la competenza adeguata per valutarla, ma soprattutto giustamente non ha alcuna intenzione di acquisire tale competenza perché anche se fosse in grado di farlo ha eletto suoi rappresentanti con il compito specifico di farlo per suo conto.
Questa si chiama Democrazia Rappresentativa ed è il fondamento delle nostre Istituzioni.
La rappresentanza è una esigenza figlia della complessità delle scelte imposte dalla società moderna e dalla numerosità di coloro che hanno voce in capitolo, ben diversa dalla Repubblica di Platone nel microcosmo di Atene, secoli fa.
Nella nostra Costituzione è sancito un altro principio che massimamente ignorano coloro che si ammantano della veste di difensori dell'integrità costituzionale.
I membri del Parlamento esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato.” , recita l'articolo 67 della Costituzione. 
Il significato di questo principio è che il parlamentare viene eletto perché ritenuto capace di contribuire in piena autonomia a promulgare leggi volte a realizzare il bene di tutta la comunità e di indirizzare e controllare l'attività di governo, non  per svolgere il compitino che il capo-partito gli assegna, magari facendogli firmare un impegno che prevede il pagamento di penali se si discosta dalla linea del capo.
Questo è incostituzionale!
Di questo dovrebbero preoccuparsi gli elettori che danno retta a coloro che, violando apertamente questo dettato, si sciacquano la bocca con la buona riforma costituzionale.
In realtà per costoro le regole della nostra Costituzione vanno stravolte per adattarle al loro modello di pseudo-democrazia diretta, affidata alla “rete”, dove si esprimono probabilmente meno cittadini di quanti erano coinvolti nella Atene di secoli fa.
Le personalità infantili della “rete” (Norberto Bobbio dixit) pescano come candidati alla amministrazione della cosa pubblica marionette, manovrate da quelli che hanno la sfrontatezza da guitti di affermare di essere fieri di dichiararsi “populisti”, convinti di rivolgersi ad una platea così poco attenta da cogliere esclusivamente nel termine la radice “popolo”, sorvolando sulla circostanza che per “populista” si intende chi prende per i fondelli il popolo, non chi fa i suoi interessi.
Il Referendum dovrebbe essere previsto solo su modifiche di principi molto generali, contenuti nella prima parte della Costituzione, che fanno capo al modo di sentire di tutta la popolazione.
Se comunque questo Referendum deve essere, che Referendum sia, sperando che non accada come per la Brexit, che la gente si è informata solo il giorno dopo, realizzando tardi se era o non era quello che gli conveniva fare.