Domenica si vota per il referendum Costituzionale, Si o No?

Le ragioni dei due schieramenti, affidate a Moreno Mazzola per il SI e Tiziano Cornegliani per il NO

A sinistra Moreno Mazzola a destra Tiziano Cornegliani

A sinistra Moreno Mazzola a destra Tiziano Cornegliani

Si vota domenica 4 dicembre 2016, dalle 7 alle 23

Questa settimana ospitiamo l'esponente del Partito Democratico, già Consigliere comunale a Peschiera Borromeo Moreno Mazzola per le ragioni del Si, e un esponente della società civile, docente universitario, scrittore, medical writer, Tiziano Cornegliani per le ragioni del No.

Le ragioni del SI

Quello del 4 dicembre è un referendum su una revisione costituzionale chiesta a gran voce da Giorgio Napolitano ad inizio legislatura che disse, il 22 aprile del 2013: «Non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana». Da queste premesse nasce la riforma costituzionale, un testo che è scaturito da un accordo tra le due principali forze politiche italiane, PD e Forza Italia, e che è stato discusso dalle due camere per 731 giorni, con tre letture per entrambi i rami del parlamento e sei approvazioni, necessarie per decretare il testo finale. Non è un caso che al suo primo passaggio in Senato, l’8 aprile del 2014, nessun parlamentare abbia votato contro la riforma. Anche nel giorno del voto finale, il 21 gennaio 2016, abbiano votato a favore il 61,43% dei parlamentari. La riforma tocca due questioni cruciali relative al funzionamento delle istituzioni democratiche italiane. La prima riguarda il bicameralismo paritario, ossia con l’idea che Camera dei Deputati e Senato della Repubblica, pur eletti da elettorati diversi, con sistemi diversi e funzionanti con regolamenti diversi (al senato l’astensione è equiparata a voto contrario) debbano fare le stesse identiche cose. Una forma nata come compromesso tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista che Don Giuseppe Dossetti, uno dei padri costituenti, aveva già allora definito come «garantismo eccessivo, perché ancora si era sotto l’ossessione del passaggio alla maggioranza del Partito Comunista». La possibilità di uscire da uno dei bicameralismi più assurdi e malfatti dell’Occidente e da un regionalismo ipertrofico e sprecone è un buon passo avanti, sufficiente per auspicare che la riforma passi. Può non piacere il nuovo Senato delle autonomie, si può non essere d’accordo con le materie di cui dovrà occuparsi ma rimane il fatto che, se la riforma passerà, le due camere, finalmente, si occuperanno di cose diverse, superando un assetto istituzionale che non ha eguali nel mondo occidentale. La seconda questione cruciale è quella che riguarda il rapporto tra Stato e Regioni. Quello che, dopo la riforma del Titolo V della costituzione, nel 2001, aveva assegnato a queste ultime un mare di competenze. Senza possibilità di smentita, quella riforma è stato uno dei fiaschi più clamorosi della Repubblica Italiana. Qualche numero: la spesa sanitaria è passata dai 75 miliardi di euro del 2001 agli oltre 110 attuali. E dodici sanità regionali, dal 2001 a oggi, sono finite in bancarotta e commissariate. Il turismo è finito nelle mani degli uffici e delle agenzie regionali, così che c’è più Molise che Italia nella nostra promozione estera. Non bastasse, i conflitti d’attribuzione tra Stato e Regioni sono aumentati esponenzialmente. Riportare al centro un bel po’ di competenze, dai trasporti all’energia, dalle politiche attive del lavoro al commercio con l’estero è una buona idea, Per non parlare dell’iniutilità del CNEL, Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, che costa 20 Milioni di euro all’anno, che, in sessant’anni di vita, dalla sua costituzione ha prodotto 970 pareri e 14 proposte di legge, tutte ignorate dal Parlamento. Basterà un Sì, questo Sì, per uscire da uno dei bicameralismi più assurdi e malfatti dell’Occidente e da un regionalismo ipertrofico e sprecone.
Moreno Mazzola

Le ragioni NO

Accetto volentieri l'invito di 7giorni, che ringrazio per l'ospitalità, di pronunciarmi sul prossimo voto referendario. Non mi è facile parlarne, perché chi mi conosce sa che da sempre sono un moderato, uno che cerca i punti di incontro piuttosto che di divisione, tuttavia credo che questa volta la posta in gioco sia talmente alta che vale la pena vincere le proprie resistenze e schierarsi. Sono fermamente convinto della scelta del NO.
Le ragioni sono innumerevoli e non basta certo un breve articolo per esporle. Proverò a dirne solo alcune, quelle che più sento come determinanti. La prima è che questa riforma, combinata con una altrettanto pessima riforma elettorale, rischia fortemente di danneggiare la democrazia. Pensateci bene, oggi, purtroppo, vota poco più della metà degli aventi diritto, ma con un sistema come l'Italicum (l'attuale legge elettorale) di fatto chi vince prende tutto, con il risultato che la coalizione che dovesse vincere alle elezioni, magari di misura, avrebbe la stragrande maggioranza dei parlamentari in corrispondenza di un consenso effettivo nel Paese del 15-20% dei voti. Perché è questa la percentuale cui si arriva se una coalizione (anzi, un partito!) vince con il 35-40% dei voti (e basta anche di meno) che però rappresenta solo metà della popolazione, quella che ha votato. Una cosa gravissima, pericolosissima, da qualunque parte la si guardi, che dovrebbe spaventare chiunque, tutti e tre i poli. Sì, ho scritto i tre poli perché ormai non abbiamo più due grandi coalizioni che si fronteggiano (centro-destra e centro-sinistra), ma con l'irrompere del Movimento 5Stelle ormai i poli sono tre, ragione per tornare al vecchio proporzionale o almeno a una legge che salvaguardi le diversità e non che consegni tutto il potere a chi prende pochi voti in più degli altri due schieramenti. Mi si dirà che questa è la riforma elettorale e non quella costituzionale, ma non è vero: le due cose sono intimamente connesse e se vincesse il sì le promesse di riforma alla legge elettorale, che pure Renzi ha fatto, sarebbero, a quel punto, minime e molto contenute. Ma atteniamoci alla riforma costituzionale. È davvero una pessima riforma, pasticciata, confusa. Prevede una "clausola di supremazia" dello Stato sulle Regioni: su questo si è già concentrato l'articolo di Giulio Carnevale sullo scorso numero, vi invito ad andare a leggerlo, se già non lo avete fatto, e capirete la pericolosità di ciò. In tempi in cui occorre andare verso le autonomie, questa riforma toglie alle Regioni poteri in numerosissimi ambiti (tra cui la sanità), e non solo ma ogni qualvolta lo Stato ritiene che prevalga "l'interesse nazionale su quello regionale". E vi ricordo che lo Stato è quel 15-20% di cui sopra... Dicono poi che questa riforma alleggerirà i percorsi legislativi. Non è vero, il Senato potrà dire comunque la sua (ci mancherebbe...) e se andate a leggere bene la riforma, tra le righe, sono previsti "balletti" imbarazzanti con leggi che rimbalzano di qua e di là. Ma c'è di più, molto di più: numerosissime sono le leggi cosiddette "obbligatoriamente bicamerali", quelle cioè che richiedono l'approvazione di entrambi i rami del Parlamento. Insomma, tutto fuorché una vera semplificazione. Quanto al risparmio economico, è esiguo, una goccia nel mare, neanche vale la pena spenderci parole. Guardatevi poi intorno: per il sì sono schierati di fatto, salvo alcune minoranze, solo il PD (e neanche tutto, ma solo quello renziano) e le grandi istituzioni, le banche, molti giornali, i cosiddetti poteri forti. Già questo non vi infastidisce, non vi suscita qualche perplessità? Difficilmente gli interessi della gente comune trovano rappresentatività in queste sfere.
Infine, non sarà né bello né elegante dirlo, ma visto che questa riforma è inscindibilmente connessa all'attuale governo, il NO equivarrebbe a una sfiducia popolare verso l'attuale esecutivo che ha deluso moltissime aspettative e sta portando avanti una politica scellerata sull'immigrazione, che mette all'ultimo posto la sicurezza dei cittadini. Non dimenticate infine che siamo al terzo governo non votato dagli italiani (prima Monti, poi Letta, poi Renzi): non sarebbe il caso di tornare quanto prima alle urne e rispettare la volontà popolare?
Tiziano Cornegliani