Andrea Pirelli, classe 1998: «L’hockey è uno sport su ghiaccio ma ci vuole il fuoco nel cuore»

La giovane promessa peschierese ha cominciato a sei anni a giocare ad hockey su ghiaccio e oggi gioca nel Milano Rossoblu.
Intervista di mattia Russo

Amore a prima vista con l'Hockey : «Ero uno di quei ragazzetti terribili sulle piste da ghiaccio»

«L’hockey è l’unico sport in cui marcantoni da cento chili volteggiano su due lame da nulla e sembrano ballerini, e lo sono, fino a quando non decidono di spalmare l’avversario contro le sponde di plexigas, e allora diventano bufali in picchiata, e non è nemmeno fallo, mai», così lo  scrittore Alessandro Baricco descrive lo sport su ghiaccio più violento di tutti. Noi di 7giorni abbiamo avuto la fortuna di incontrare Andrea Pirelli, giocatore di livello nazionale di hockey su ghiaccio, per poterlo interrogare sulla sua carriera, sui suoi obiettivi e sul fascino di questo sport.

Ciao Andrea, come da copione iniziamo con le presentazioni, raccontaci un po’ di te.

«Mi chiamo Andrea Pirelli, classe 1998, abito a Peschiera da sempre e ho iniziato a giocare ad hockey su ghiaccio a sei anni. Per precisare ho cominciato pattinando, ero uno di quei bambini che faceva casino sulla pista e poi, d’improvviso, un giorno mi è stato chiesto di provare a giocare. Da lì è stato amore a prima vista ed è partito tutto, prima all’Ambrosiana ad Assago e poi ai Rosso Blu di Milano, i vecchi Vipers per intenderci».

In che ruolo giochi e soprattutto che cosa rappresenta per te questo sport?

«Ho iniziato da piccolo come difensore poi pian piano mi sono spostato sempre più in attacco e ora sono un’ala sinistra. L’unico ruolo che mi manca è quello del portiere ma non è che sia proprio un problema non averlo mai fatto (scherza). Mi piace potermi muovere quando gioco. È sicuramente uno sport duro, di contatto e aggressivo ma è anche velocità, precisione e passatemi il termine, grazia. Inoltre il vero divertimento è tutto nella compagnia, nella squadra e in tutta la passione che si respira nello spogliatoio e sul campo».

Innegabile che l’hockey su ghiaccio sia uno sport duro, paura?

«A differenza di altri paesi esteri, come Canada, Russia o Stati Uniti, in Italia è meno aggressivo e meno sport di contatto ma è comunque un’esperienza tosta e non nego che da piccolo avevo un po’ di paura. Ero più frenato, più attento e magari non mi buttavo d’impulso su tutto. Con il casco, inoltre, la visione è ridotta a quasi 180° e se gli avversari sfruttano bene i punti ciechi alle spalle possono farti fare certi voli che non vi dico. Poi l’anno scorso ho avuto un brutto infortunio che mi ha fatto cambiare punto di vista e ho deciso di non guardare più al pericolo, penso a tutt’altro. Prendi e dai botte, è questo il trucco. Butti fuori tutto il nervoso, tutto lo stress sul campo di ghiaccio e quando finisci senti solo soddisfazione».

Già debuttato nella massima serie italiana nonostante la tua giovane età, obiettivi per il futuro?

«Sto continuando a migliorare perché voglio provare a giocare all’estero. Sarebbe un sogno per me arrivare a giocare nell’NHL perciò continuo il mio percorso che ho iniziato da giovane, focalizzato sempre sul mio obiettivo. L’Italia mi piace ma vorrei andare nei paesi dove l’hockey è tradizione, dove c’è una diversa cultura di questo sport e dove viene seguito come se fosse una guerra. In Italia è po’ sconosciuto e questo è davvero un peccato perché regala tante emozioni e soddisfazioni».

E cosa ci vuole per fare il salto di qualità, oltre naturalmente a tecnica e fisico?

«Forza bruta, riflessi e tecnica sono indispensabili per puntare in alto, ma non sono le uniche cose che contano. Secondo me dipende molto dalla passione che ognuno è disposto a mettere, quanto del suo spirito scommette per fare la differenza. Seppur si gioca sul ghiaccio bisogna avere il fuoco dentro, per me».

E che consiglio daresti a chi vorrebbe iniziare ma ha delle remore?

«Iniziate a pattinare poi il resto verrà da solo. È come un passaggio obbligatorio, fidatevi. L’hockey per quanto possa sembrare duro e pericoloso è una splendida esperienza».

Mattia Russo