Paul incanta l'Arena e porta i Beatles in Italia

Voglio essere sincera. Appena salito sul palco ho pensato che sì, Paul McCartney probabilmente è ancora vivo, ma seduto in platea! Perché quello che imbraccia la chitarra di fronte agli oltre 15.000 spettatori dell’Arena non può avere 71 anni: è un altro sosia. Poi però inizia a cantare e allora non ci possono essere dubbi: è lui. O meglio, sono Loro.

Quattro in uno, nel concerto che i Beatles non potranno più fare, ma che nel corso di una fresca magia di giugno si è celebrato a Verona, nell’unica data italiana dell’“Out There!” tour, con trentasei pezzi che combinano il repertorio beatlesiano e a quello dei Wings, unendo così le due band che hanno fatto parte della vita di Paul tra i sessanta e gli ottanta a innegabili pezzi di storia della musica.

Il ritardo di mezz’ora non ha demoralizzato il pubblico, anzi. Paul e la sua band sono entrati in scena con un’ovazione straordinaria che non si è più smorzata. Alternandosi tra due chitarre e due pianoforti, sir Paul ha attaccato con “Eight Days a Week”, “Paperback Writer”, “My Valentine” (dedicata all’attuale moglie Nancy, sposata nel 2011), “The Long and Winding Road”, per continuare, fra le altre, con le (forse) più note “Hey Jude”, “Eleanor Rigby”, “Let It Be”, “Yesterday”; scatenando poi letteralmente le danze su “Lady Madonna”, “Helter Skelter”, “Obladi Oblada”, “Burn and Let Done” e “Back in USSR” (con la maxi scritta “Free Pussy Riot” – “Liberate le Pussy Riot” – alle spalle della band). Immancabili le dediche a John Lennon e George Harrison, rispettivamente con “Here Today” e “Something”, mentre “Lovely Rita” e “Being for the Benefit of Mr. Kite” sono arrivate dritte dritte dal leggendario “Sgt. Pepper’s” del 1967. Gran finale con “Golden Slumber”, che con “The End” chiudeva “Abbey Road” del 1969 e insieme anche la stupefacente avventura della band.

Troppo vasto il canzoniere dei Beatles per trovare posto in un unico concerto, ma la selezione non è stata dolorosa, perché ogni pezzo ha un senso, rimanda a un’emozione, a un ricordo o semplicemente, per chi non ha vissuto direttamente i mitici Sixties, a una favolosa sensazione. Chapeaux anche ai componenti della band: ai chitarristi Rusty Anderson e Brian Ray, al tastierista Paul Wickens e al batterista Abe Laboriel Jr. Col baronetto ci siamo lasciati dicendoci “alla prossima”, ma intanto grazie, Fab Paul: per una sera hai dimostrato che il rock, quello fatto di vita, sogni e passione, quello come dovrebbe essere, non è morto, ma vive ancora nel petto di milioni di persone. 

Lara Mikula