550 persone curate per il cancro inesistente solo per incassare 225 Milioni

Non è un caso di malasanità, ma di vera insanita mentale e crudeltà estrema

Farid Fata

Farid Fata

Le atroci sofferenze dei bambini coinvolti

La Corte d’Appello della Sesta Circoscrizione degli Stati Uniti d’America il 25 maggio scorso ha confermato la condanna di un oncologo statunitense, Farid Fata, a 45 anni di carcere per aver crudelmente e fraudolentemente diagnosticato il cancro ad oltre 550 suoi pazienti di fiducia al solo scopo di ottenere ingenti guadagni economici ammontanti ad almeno 17 milioni di dollari.


Fata esercitava la sua professione presso la clinica “Michigan Hematology Oncology P.C.” nell’area metropolitana di Detroit, dove diagnosticava trattamenti inutili a centinaia di pazienti. Non si trattava soltanto di pesanti cicli chemioterapici non necessari, ma anche di trattamenti endovenosi nocivi che consistevano nell’immissione in endovena di sostanze velenifiche e tremendamente aggressive, grazie alla cui esecuzione l’oncologo presentava salati conti a giustificazione delle suddette inutili, dannose e costose cure a Medicare e ad altre assicurazioni private. Si calcola che tra il 2007 ed il giorno del suo arresto Fata abbia richiesto soltanto a Medicare rimborsi per oltre 225 milioni di dollari.

Nel corso del processo di primo grado, all’udienza del 20 settembre 2014, davanti al Tribunale Distrettuale nella procedura No. 13-cr-20600, a fronte della prospettiva di una reclusione a vita e di una possibile estradizione in Libano, Paese di cui era originario, Fata preferì dichiararsi colpevole di 13 capi d’accusa, in cambio del congelamento delle procedure di estradizione.

Tuttavia, la pubblica accusa nella memoria finale relativa al processo di primo grado chiese la condanna alla reclusione a vita, nello specifico a 175 anni di carcere.

I capi d’accusa erano numerosi: Fata operava delle false diagnosi di mieloma al solo scopo di effettuare trattamenti chemioterapici sui pazienti; consigliava la chemioterapia quando lo stadio del mieloma imponeva una sola fase di osservazione; non informava i pazienti circa la possibilità di terapie alternative per assicurare gli elevati costi di rimborsi per le cure chemioterapiche; dava a pazienti in fase terminale l’illusoria speranza del 70% di risultato positivo se si fossero sottoposti a cicli di chemioterapia; ordinava inutili terapie di infusione e dosi massicce ed inutili di farmaci antinausea che causavano effetti collaterali; prescriveva medicinali atti a provocare l’aumento dei globuli rossi quando non era necessario al solo fine di ottenere rimborsi da Medicare; ordinava la somministrazione di Zometa quando non necessario provocando la perdita di tutti i denti ai pazienti ignari o Rituximab come terapia di mantenimento a malati che non ne necessitavano; costringeva con insistente persuasione i pazienti che venivano dimessi a concordare un’assistenza domiciliare con la società Guardian Angels al solo fine di ottenere da tale compiacente società percentuali sugli importi fatturati; diagnosticava sindromi inesistenti di anemia da carenza di ferro al solo fine di ottenere ritorno economico dai rimborsi richiesti a Medicare e somministrava a pazienti sani infusioni in endovena di ferro provocando in loro dosi eccessive di ferro nel sangue con la successiva necessità di effettuare altri trattamenti – sempre col relativo ritorno economico – per purificare il sangue dal ferro in eccesso; prescriveva senza motivo infusioni di emoglobina o idratazione endovenosa in pazienti cardiopatici che subivano pericolosi effetti collaterali; ordinava l’esecuzione di scansioni PET a pagamento inducendo i pazienti ad eseguire gli esami presso un centro da cui riceveva percentuali sul fatturato ed ingannando gli stessi sulla necessità di ripetere l’esame anche quando non necessario, costringendoli ad affrontare ingenti costi ed incutendo loro soggezione, quando lamentavano gli eccessivi costi, pronunciando la frase : “it’s your life or your money”.

Oltre al profilo di danno alla salute causato dalle terapie nocive eseguite su pazienti sani e alla mala gestione dei casi clinici in cui la patologia era presente, si configura un gravissimo danno psicologico causato ai pazienti a seguito delle diagnosi - false! – di cancro. I malcapitati pazienti ( e di riflesso le intere famiglie di appartenenza) sono stati sottoposti alla tortura consistente nella percezione della propria persona come malata, spesso in fin di vita o senza prospettive di guarigione. Alcuni pazienti, anche bambini, subivano gli orrendi effetti collaterali di cure chemioterapiche inutili e devastanti, altri erano costretti a subire cure mediche continue volte all’eliminazione degli effetti collaterali di precedenti trattamenti non dovuti. Quale risarcimento può essere considerato ristoratore per una madre ed un padre a cui viene comunicato che il proprio bambino è malato di cancro e la cui vita inevitabilmente subisce uno stravolgimento tale da coinvolgere ogni aspetto del quotidiano?

Nessuno! Niente può risarcire una esistenza stravolta da una notizia di tale gravità e dal dover assistere alle conseguenze deleterie dei trattamenti farmacologici devastanti.

Nella memoria difensiva finale depositata il 28 maggio 2015, nel corso del procedimento di primo grado, la pubblica accusa sottolineava altresì l’esistenza di una conclamata perfidia nel comportamento di Fata che si manifestava nell’assoggettamento psicologico che lo stesso determinava nei pazienti: diagnosticando falsamente l’esistenza di gravi malattie e prospettando possibilità di guarigione per mezzo delle cure da lui proposte, ricattava e intimidiva il malato, fino ad esercitare su di lui un totale potere di controllo. Di fronte alla prospettata possibilità di salvare una vita, in realtà non affatto in pericolo, otteneva con facilità il consenso all’esecuzione di costosi esami o trattamenti, oltretutto dannosi.

Alcuni testimoni hanno riferito inoltre che l’oncologo sollecitava in particolar modo la sensibilità di quei pazienti che sapeva esser facoltosi e, ancora, che cercava di far concludere contratti di cura domiciliare ai pazienti in fin di vita, velocizzando le procedure di pagamento affinché queste avvenissero prima del loro decesso.

Il 10 luglio 2015 Fata si rivolgeva per la prima volta alla Corte affermando di vergognarsi tremendamente per il proprio comportamento ammettendo una sorta di autodistruttiva ricerca di potere e denaro.

Il Giudice Borman della U.S. District Court – Eastern District of Michigan – Southern Division emanava quindi una sentenza di condanna a 45 anni di carcere nei confronti dell’oncologo riconosciuto colpevole di 16 capi d’accusa, tra cui frode sanitaria, cospirazione, richiesta di tangenti a hospice per l’invio di pazienti e riciclaggio di denaro. Nella stessa affermava che il medico aveva compiuto “enormi e terrificanti crimini” e riteneva che, anche se la condanna risultava pari soltanto ad un quarto della pena richiesta dalla pubblica accusa, per via dell’età avanzata, molto probabilmente Fata avrebbe trascorso tutta la vita in carcere.

Contestualmente alla condanna penale sono state depositate numerose richieste di risarcimento danni in sede civilistica. La cause non sono state intentate soltanto nei confronti dell’oncologo, ma anche di medici ed infermieri che lo affiancavano, nonché del Crittenton Hospital and McClaren Cancer Center.

Innanzi all’Oakland County Circuit, 11 pazienti hanno agito in giudizio ed alcuni di questi hanno affermato di essere stati sottoposti, in 2 anni e mezzo, a 155 trattamenti di chemioterapia, pur non essendo malati di cancro; altri hanno dichiarato di essere stati trattati con infusioni endovenose di altre sostanze tossiche e velenifiche quando non necessario; alcuni di questi sono deceduti a seguito di malattie derivanti dalle eseguite  terapie inutili e dannose.

L’oncologo decideva di ricorrere in appello perché riteneva, fra le altre cose che il Giudice di primo grado avesse errato nell’aver ammesso come testimoni quei pazienti la cui effettiva posizione di vittime non era stata determinata con certezza e, ancora,  si lamentava circa la mancanza di una sufficiente base di fatto per confermare il capo d’imputazione relativo al riciclaggio di denaro.

La Corte d’Appello, con sentenza depositata- come detto-  in data 25 maggio 2016, confutava con veemenza dette argomentazioni, affermando che fossero carenti nel merito e pertanto confermava in toto la sentenza di primo grado.

Le procedure per il risarcimento previsto per le vittime costituitesi parte civile nel procedimento penale sono, a seguito della conferma della decisione di prima istanza, attualmente in corso. A partire dallo scorso 9 giugno, secondo quanto comunicato dal sito del Ministero della Giustizia americano, sono infatti disponibili i moduli per formalizzare le istanze; tali moduli sono comunque stati inviati d’ufficio ai pazienti riconosciuti quali vittime nel corso del procedimento di primo grado con le relative istruzioni di compilazione.

Avvocato Luigi Lucente

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