Anestetizzati dai numeri dell’economia immaginaria

Almeno, così è sembrato ascoltando le ridondanti casse di risonanza dei media, che hanno martellato a ripetizione la filastrocca: crisi – crisi – crisi. Poi però ci si guarda in giro e si osserva che, tutto sommato, non ci sono famiglie che abitano in macchina o per strada, le spiagge sono mediamente piene (e perlopiù di gente piuttosto sovrappeso) e il traffico paralizza ancora le città, in barba alla benzina che costa quanto l’oro.
Pochi si domandano che cosa sia veramente una crisi economica. Ci limitiamo ad assimilare le notizie e i nonsense di giornali, Tv e internet senza cercare di ragionare per conto nostro osservando quello che ci circonda. È più facile assorbire che pensare, in effetti. Poco importa se ciò che recepiamo corrisponde al vero oppure fa parte di un mondo parallelo che non dovrebbe neanche sfiorarci. Così funziona per l’economia virtuale della Borsa e i suoi numeri che vengono presi per veri, neanche si riuscissero a toccare, ad annusare, a farli nostri come un bicchiere che stringiamo nel pugno.
In Angola o in Burkina Faso riderebbero della nostra concezione di “crisi”. La crisi vera dovrebbe essere quando i bisogni essenziali dell’individuo (cibo, acqua, difesa dalle malattie e dalle guerre) non possono essere soddisfatti. In questa nostra presunzione di filosofeggiare sotto l’ombrellone di una fantomatica crisi solo perché ne abbiamo sentito parlare in televisione è celata una superficialità sconvolgente, una sindrome da Matrix che ci lega sempre di più a un mondo apparente, che esiste prima sui monitor dei nostri Pc e di conseguenza nelle nostre teste. Come diceva Jean Baudrillard, nella società dei mezzi di comunicazione di massa l’iperreale diventa più reale della realtà stessa. Ecco perché quando la crisi vera arriverà, probabilmente non ce ne accorgeremo neanche.
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