I giovani e il lavoro: una realtà che scotta

L'assenza di un posto di lavoro, infatti, non fa che accrescere l'insoddisfazione. Cresciuti dalla mamma televisione e dallo zio denaro, spinti verso lauree senza sbocchi, ancora appesi al cordone ombelicale, e infine costretti a limare i propri sogni. «Usciti dall'università bisogna passare per una fase di transizione in cui si è sottopagati e le proprie ambizioni devono essere ridotte». Così, la generazione che dovrebbe essere pronta a entrare nel mondo del lavoro, ne è allontanata a suon di Co.Co.Co e stage non retribuiti. Alcuni sono disorientati  per il passare degli anni. «Mi avevano detto che con la mia laurea avrei avuto un lavoro. Invece, il lavoro non c'è, e non solo per i laureati». In altri si legge una lucida consapevolezza: «il lavoro dei miei sogni non viene pagato, mentre il lavoro sottopagato è già occupato». E non si parla solo di fotografi, critici d'arte e giornalisti, ma anche architetti, mediatori culturali, agronomi e ingegneri:  rassegnati a un lavoro che per nulla ricorda gli studi conclusi. O meglio, «dipende da quanto sei disposto a scendere a compromessi». Lavoro in nero, sottopagato, contratto rinnovabile ogni tre mesi, assenza di diritti. A queste condizioni, il lavoro esiste. «È pazzesco, ho una laurea e penso di essere brava in quello che faccio, eppure dopo un anno e mezzo di lavoro sono ancora in nero e mi pagano poco». I due terzi degli intervistati (tutti con almeno una laurea triennale) inizia a pensare di scegliere un'occupazione meno specializzata. «La mia generazione deve fare i conti con un'economia globalizzata e un decadimento dei diritti sociali, che hanno come conseguenza l'impossibilità di trovare stabilità e un lavoro a lungo termine». La via crucis dei cervelli in fuga si rimpolpa di nuovi adepti: all'estero cercano sbocchi lavorativi o si allontanano da una società che non li ha accettati: «sono architetto, ma il sogno più grande è possedere una piccola attività in un posto tranquillo, lontano dal consumismo. Magari i miei figli non si laureeranno, ma non penso che conti questo nella vita». Sognatori o scansafatiche? Non è solo colpa loro. I neolaureati, prima di entrare nella vita reale, hanno atteso nel limbo interminabile dello studio, e ora dovrebbero lavorare in un call center? «Il lavoro dev'essere uno strumento di espressione personale, del proprio pensiero, della propria analisi dei fatti e del mondo». Ma oggi, il proletariato dei neolaureati non crede più nel matrimonio tra passione e lavoro: «La necessità di guadagnare costringe la gente a far cose di cui non si può essere razionalmente soddisfatti, ma poi il nostro spirito di conservazione ci preserva, facendocelo credere: potrei alienarmi anch'io nel lavoro, ma non si dovrebbe passare la vita a lavorare per pagare casa e macchina».

Sara Marmifero
Elisa Murgese