La solidarietà pelosa


In attesa che l’evoluzione compia il suo corso, oggi la solidarietà ridistributiva bisogna meritarsela e, per farlo, si devono rispettare alcune condizioni “civiche” minime: a) tutti contribuiscono in proporzione al loro reddito; b) lo Stato tutela prioritariamente i diritti naturali dei suoi cittadini, dai quali ha ricevuto delega a farlo: diritto alla vita, alla salute, alla proprietà, alla cultura e alla sicurezza; c) in questi settori non si applica “per definizione” il principio di sussidiarietà; d) lo Stato utilizza in modo efficiente le risorse economiche raccolte; e) lo Stato impedisce i conflitti di interesse, cioè le commistioni tra Istituzioni e beneficiari della ridistribuzione, inclusi i corpi intermedi e le loro associazioni, laiche o cattoliche che siano.
Questa è, in un’accezione laica, una efficace definizione di bene comune.
Al contrario, registriamo: 300 miliardi di euro di imponibile evasi ogni anno, sfascio totale nella tutela dei diritti naturali dei cittadini, sperpero dei soldi dei contribuenti, conflitti di interesse generalizzati.
La nostra è una solidarietà pelosa e insostenibile: non si può essere allo stesso tempo “confessore e boia”, come dice Cavaradossi di Scarpia, nella Tosca. All’ombra del Berlusconismo sono proliferate, negli ultimi vent’anni, lobbies ramificate sia in economia sia in politica. Sarebbe d’obbligo ridurre la spesa improduttiva, il pork barrel come dicono gli americani, limitare la sussidiarietà al volontariato e al Terzo Settore, come recita anche la Dottrina Sociale della Chiesa, e ricordare a qualche Procuratore che il falso ideologico è un  reato penale e non un illecito amministrativo. Questo, mi aspetterei di leggere nel programma di un partito autenticamente riformista; invece, a Bersani piace fare l’ospite d’onore a Rimini. Amen.

Giorgio Ronchi