Cosa temono le donne?

Mancano i talenti e i professionisti preparati. Ma anche nelle aziende più innovative le donne rimangono indietro

Silicon Valley: le donne non sono considerate adatte alle Start-up

E’ di qualche settimana fa il “casus belli”: un ingegnere di Google, poi licenziato, diffonde un memo in cui sostiene che le donne siano “biologicamente meno adatte a lavori di ingegneria e di leadership nel settore tecnologico”. Ma come è possibile?

Le ragazze, nelle statistiche, eccellono sui banchi di scuola, sono brillanti, determinate e volitive. Le bambine hanno un’intelligenza c.d. astratta che le favorirebbe anche nelle materie matematiche. Poi, stranamente, dopo molti cartoni animati pieni di principesse svenevoli e tanti regali di make-up e mini-ricette di cucina, non si sentono adatte a un percorso scientifico. In un momento ancora successivo, tra i voti cum Laude e i primi passi in azienda, succede qualcosa che fa loro declinare i ruoli di leadership. 

Avete mai sentito parlare di “bias”? Sono dei giudizi o dei pregiudizi, sviluppati sulla base dell’interpretazione personale delle informazioni raccolte e non necessariamente corrispondenti alla realtà. S
e come disse qualcuno: “Qualunque cosa tu pensi di te stesso, hai ragione, perché è quello che diventerai”, viene il sospetto che i nostri ragazzi (sì anche i maschi partecipano a questa lotta per un futuro migliore) siano ancora imprigionati in modelli di ruolo anacronistici e decadenti. 

Secondo alcune recenti inchieste, la convinzione diffusa è che se si vuole essere parte di una start-up che cambierà il mondo o di un colosso che l’ha già cambiato, è necessario dedicarsi al 100% al proprio lavoro. Ed è così che il 43% delle donne con elevate qualifiche, secondo The Atlantic, storica rivista statunitense, lasciano il proprio lavoro per mancanza di flessibilità e equilibrio con la vita privata, e soprattutto dopo la nascita dei figli. E se non sono i figli, sono i parenti in difficoltà, malati o anziani.
Secondo una ricerca McKinsey, prestigiosa società di consulenza strategica, una maggiore diversity, termine anglosassone che indica la compresenza di culture, generi, sessi, religioni, età, etc., nei posti di comando delle aziende permetterebbe un incremento del 15% dei profitti.

E’ veramente più produttivo e brillante per la crescita di un’azienda in un mondo in continua ridefinizione, un lavoratore omologato e che dedica il 100% dei suoi pensieri a quel ruolo?
Cosa stiamo costruendo per rispondere alla carenza di talenti e competenze? Dove li cerchiamo?
Non è che forse abbiamo perso il contatto con la realtà? Con le vere sfide del futuro e dell’innovazione? 

Twitter: #inspiRAgazze @antjann