Vita da rom, una storia di ordinario degrado

Aveva appena raccolto da terra un maglione gettato via da chissà chi, per lei era una conquista. Allora mi si è rivolta, come a compiacersi del suo gesto, in un italiano stentato che si reggeva a malapena sui gesti, ma il senso del suo parlare era che la sua vita dipendeva da ciò che trovava. Mi ha raccontato di essere stata male. Verso la città, non ho capito dove, ha avuto un mancamento, i dottori le hanno visitato il cuore. Ha paura di morire, questo me lo ha detto chiaramente. Nelle case fa freddo.

P6030397«È da molto che siete lì?» Le chiedo. «Otto mesi», mi risponde, da dicembre. «Quanti siete?». Provo insistentemente a capire con che realtà abbiamo a che fare. Ma non mi vuole dare risposte. Ci sono famiglie, mi fa capire, anche bambini. Bambini piccoli, perché i più grandi se ne sono andati via, a casa. Ma di quale casa può mai parlare? Insisto, ma non mi vuole dire di più. «Se mi vedono a parlare con te…» e mi fa il gesto di una bastonata in testa. Non so se per me o per lei, ma ho desistito. L’ho lasciata andare, una donna di 66 anni. Ne dimostrava 90. Ed è entrata nello stabile tramite il passaggio posteriore, privo ormai del cancello. Mi sono affacciato anche io: la sporcizia è dovunque. Uomini, donne, bambini e anziani condividono gli spazi dell’abbandono, abbandonati da tutti e da se stessi per primi. Non so se fossero nascosti nei palazzi, attenti a non dare segni di sé. Nel dubbio, ho scattato qualche foto e me ne sono andato. Storia di ordinario degrado, di persone che, come quella anziana donna, sembrano in bilico fra la fedeltà al gruppo e l’aspirazione a liberarsene. La paura del branco, palpabile, concreta, soccombe al cospetto della paura di ciò che è fuori dal branco. E la cieca violenza del loro mondo pare essere l’unica rassicurazione possibile. Non credo la situazione possa degenerare. La comunità verrà spostata, prima o poi, come ogni volta accade. E quelle donne, quegli uomini e quei bambini continueranno a vivere la loro guerra con il mondo da un’altra trincea.

Alessandro Nardin