QUANDO L’IMPOSSIBILE DIVENTA POSSIBILE

Raffaele Brattoli, l’uomo che ha conquistato i 4 deserti

 

Archiviata anche la gara in Antartide. C’era proprio da aspettarsi che il desert runner Raffaele Brattoli, inarrestabile atleta alla ricerca delle sfide estreme più rischiose del pianeta, riuscisse a imporsi anche sull’inospitale continente antartico. Benché insidiosa e avversa, più di qualsiasi altra competizione finora intrapresa, in questa edizione del 2010, “The Last Desert Antartica” non soltanto ha mantenuto fede all’inaccessibilità che tanto la contraddistingue, ma, anzi, ha soverchiato ogni previsione, reclamando un ulteriore sforzo da parte di tutti i partecipanti. Non a caso, le prove, per Raffaele Brattoli, sono cominciate addirittura ancora prima di arrivare a destinazione. La prima parte del viaggio, caratterizzata dai vari spostamenti aerei, è stata segnata da ritardi e disagi di ogni tipo. La seconda, invece, necessaria per colmare i 1000 chilometri circa, che separano la punta estrema dell’Argentina dai ghiacci dell’Antartide, è andata ancora peggio. Il mare forza 10 (raffiche di vento oltre i 100 km orari, ndr) e le onde alte fino a 18 metri di altezza, hanno schiaffeggiato furiosamente la rompighiaccio “Antartic Dream”, per gran parte del trasferimento. «È stata un’esperienza terrificante – spiega Raffaele Brattoli –. Non siamo riusciti a chiudere occhio per tutti i tre giorni di viaggio (sia di andata che di ritorno). E ogni tentativo per affrancarsi al letto è risultato vano». Soprattutto lì, nel famigerato stretto di Drake, dove oceano Atlantico e Pacifico si incontrano, prorompendo in un furibondo impeto. Poi, dopo questa epopea, degna dell’impavido Ulisse, è cominciata la competizione vera e propria. La sveglia, fissata in orario antelucano, suonava alle 3.00. Poi colazione, preparazione e via sul gommone che muoveva gli atleti tra la nave e i punti di partenza. Le prime due tappe della competizione sono state corse su King George Island. Le due successive, sull’isola vulcanica Deception. L’ultima, invece, dove è stato allestito l’arrivo, si è svolta sulla terraferma, in prossimità della zona denominata “Ghiacciai del Continente”. Purtroppo, però, a causa di maltempo, tutte le tappe sono state sospese, prima del normale termine. Nelle ore pomeridiane, infatti, il vento si sollevava, soffiando oltre gli 80 km, e abbassando drasticamente le temperature. Tant’è che il termometro del fuoriclasse peschierese è arrivato a segnare i 52 gradi sotto lo zero. E anche il trasferimento per ritornare alla nave diventava estremamente complicato. Fortunatamente il materiale, fornito dallo sponsor tecnico Orobianco, ha retto brillantemente il confronto. In particolare, le ghette, in neoprene accoppiato al kevlar, realizzate per resistere al freddo glaciale antartico, e impiegate, nel quotidiano, dalla nota azienda, per fabbricare trolley e materiale da viaggio, ha superato la prova del 10. E anche la protezione, applicata sulla camel bag (serbatoio per bevande), non è stata da meno. Ma le disavventure non sono finite perché, durante una tappa, mentre l’atleta provava un percorso alternativo, prima la neve e poi il ghiaccio, sotto di lui, hanno ceduto, facendolo sprofondare nelle acque gelide. «Malgrado ciò, sono riuscito a tirarmi fuori – racconta – e grazie all’aiuto di un altro atleta, mi sono cambiato a -25 gradi». E pensare che per due giorni ha corso perfino con la febbre. Alla fine, comunque, si è piazzato al 12esimo posto, e secondo nella sua categoria di età. Un esito più che eccellente. Il segreto della sua forza: una testa che vince su tutte le altre debolezze. Ma quel che più sorprende - ma non poi così tanto, se consideriamo di chi stiamo parlando - è che Raffaele Brattoli, nella classifica finale del “4 Desert”, il grande slam di “Racing The Planter”, cominciato due anni fa, che prevedeva l’espugnazione dei deserti più proibitivi al mondo - Atacama (Cile), Gobi (Cina), Sahara (Egitto), Antartide - si è piazzato, in classifica generale, al sesto posto. «Direi che a 55 anni (solo all’anagrafe, ndr) non potrei chiedere di più – commenta – anche se forse, senza alcuni impedimenti, avrei potuto fare ancora meglio». Ma, questo, è già un risultato straordinario, del quale non si può che andare fieri.

Maurizio Zanoni

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