Tra cammelli e dromedari, un po' Lawrence D'Arabia e Indiana Jones, Raffaele Brattoli ha percorso la Jordan Race 2012

Il kolossal di David Lean ne consacrò il suggestivo e incontaminato fasto paesaggistico. Allo stesso tempo ne rivelò universalmente i pericoli e le insidie celati tra le sue sabbie. Dopo quindi Lawrence d’Aradia, che l’ha cavalcato in groppa a cammelli e dromedari, il Wadi Rum, la più vasta distesa desertica di Giordania, adagiata tra un dedalo di formazioni rocciose monolitiche, è stato domato – assieme ad altri deserti mediorientali – dagli atleti estremi del circuito di Racing the Planet. Un gruppo di super uomini e super donne, dalle gambe scalpellate e dalla tenacia mentale illimitata, che – amichevolmente – senza qualche rotella a posto ha sfidato la natura in una delle sfaccettature più inaccessibili. Tra questi folli sportivi, 160 circa provenienti da ogni parte del mondo, si è annoverata anche la presenza di Raffaele Brattoli, indomita desert runner di Peschiera Borromeo, il quale ha ripercorso con noi le tappe salienti e gli aneddoti della competizione. La partenza della gara, e del nostro racconto, risale al 13 maggio 2013. «Alle 5.30 del mattino gli atleti erano già in fermento e alla ricerca di un rifugio naturale come toilette – ride Raffaele Brattoli –. Un'ora e mezzo dopo lo starter annunciava la partenza» della Jordan Race, una competizione in autosufficienza che si sviluppa su 250 chilometri suddivisi in 6 tappe, con un dislivello di 5mila metri. E poi, in aggiunta, la sabbia che rende difficoltoso ogni passo, e il sole che arroventa l'aria oltre i 40 gradi. «Mentre corro nel Wadi Rum, compreso nel più esteso deserto di Hisma, che abbraccia il nord dell'Arabia Saudita e il sud della Giordania, sogno a occhi aperti». Nella sua marcia, intervallata da notti passate in caratteristiche e puzzolenti tende beduine, sono numerosi i passaggi che lo colpiscono: formazioni rocciose dalle sagome più incredibili, scavate dall’acqua e dal vento, canyon talmente stretti da rendere difficoltoso il passaggio anche a una singola persona, cromatismi sabbiosi che si aggrovigliano tra sfumature dorate e color amaranto. «Scalpito tra le dune di sabbia, sento l’ansia dei chilometri, la fatica della gara, il battito del mio cuore, il respiro di un attimo nello spazio della mia vita, dove in quest’angolo del mondo ritrovo il coraggio della sfida di me stesso». Si prosegue nel Kharaza desert, leggermente più regolare. Ai panorami che sublimano la vista si contrappone però la dura realtà: lo sforzo, le temperature elevate, le tempeste di sabbia, le vesciche e le unghie ormai penzolanti. Eppure «il dolore mi ricorda di essere vivo». I chilometri volano, e anche la sabbia che si impasta tra i denti. Giunto a ridosso di Petra, un’idea un po’ fuori dalle righe – e contro il regolamento – balenò nella testa di Raffaele Brattoli: trovare della coca-cola per festeggiare il compleanno dell’amico Paolo Barghini (che arrivò a tagliare il traguardo con il miglior tempo). «Mi imbattei in un beduino al quale chiesi dove avrei potuto trovare un negozio aperto». La deviazione che seguì, materializzò nel suo zaino un bottiglione di una bibita ghiacciata. Sebbene gli avesse fatto perdere posizioni e tempo, suppergiù 30 minuti, all’ultramaratoneta peschierese non importava: lui non compete infatti per una posizione ma contro il limite della sopportazione umana. Sopraggiunge il 19 maggio 2012, la tappa finale. L’arrivo è previsto nella stretta gola del Siq, sotto la solennità dell’edificio sacro di El Khasneh (location dove hanno girato la fase finale di Indiana Jones, L’Ultima Crociata). «Così, passo dopo passo, ho raggiunto il sospirato traguardo – racconta –. Tanto ero distrutto e sporco che per riconoscermi occorreva leggere il numero di pettorale; ho perso molti chili, e la barba lunga invecchiava il mio visto nascondendone però in parte l’affaticamento». Un urlo liberatorio, durante la premiazione, ha messo la parola “terminata” alla gara in Giordania con un ottimo posizionamento: 31esimo in classifica generale e un secondo posto nella graduatoria di categoria. «Il coraggio – chiosa Raffaele Brattoli – non è arrivare in fondo, ma è partire». E lui, assicura, è già pronto per addentrarsi in altre molte avventure.

Allo stesso tempo ne rivelò universalmente i pericoli e le insidie celati tra le sue sabbie. Dopo quindi Lawrence D’Arabia, che l’ha cavalcato in groppa a cammelli e dromedari, il Wadi Rum, la più vasta distesa desertica di Giordania, adagiata tra un dedalo di formazioni rocciose monolitiche, è stato domato – assieme ad altri deserti mediorientali – dagli atleti estremi del circuito di Racing the Planet. Un gruppo di super uomini e super donne, dalle gambe scalpellate e dalla tenacia mentale illimitata, che – amichevolmente – senza qualche rotella a posto ha sfidato la natura in una delle sfaccettature più inaccessibili. Tra questi folli sportivi, 160 circa provenienti da ogni parte del mondo, si è annoverata anche la presenza di Raffaele Brattoli, indomita desert runner di Peschiera Borromeo, il quale ha ripercorso con noi le tappe salienti e gli aneddoti della competizione. La partenza della gara, e del nostro racconto, risale al 13 maggio 2012. «Alle 5.30 del mattino gli atleti erano già in fermento e alla ricerca di un rifugio naturale come toilette – ride Raffaele Brattoli –. Un'ora e mezzo dopo lo starter annunciava la partenza» della Jordan Race, una competizione in autosufficienza che si sviluppa su 250 chilometri suddivisi in 6 tappe, con un dislivello di 5mila metri. E poi, in aggiunta, la sabbia che rende difficoltoso ogni passo, e il sole che arroventa l'aria oltre i 40 gradi. «Mentre corro nel Wadi Rum, compreso nel più esteso deserto di Hisma, che abbraccia il Nord dell'Arabia Saudita e il Sud della Giordania, sogno a occhi aperti». Nella sua marcia, intervallata da notti passate in caratteristiche e puzzolenti tende beduine, sono numerosi i passaggi che lo colpiscono: formazioni rocciose dalle sagome più incredibili, scavate dall’acqua e dal vento, canyon talmente stretti da rendere difficoltoso il passaggio anche a una singola persona, cromatismi sabbiosi che si aggrovigliano tra sfumature dorate e color amaranto. «Scalpito tra le dune di sabbia, sento l’ansia dei chilometri, la fatica della gara, il battito del mio cuore, il respiro di un attimo nello spazio della mia vita, dove in quest’angolo del mondo ritrovo il coraggio della sfida di me stesso». Si prosegue nel Kharaza desert, leggermente più regolare. Ai panorami che sublimano la vista si contrappone però la dura realtà: lo sforzo, le temperature elevate, le tempeste di sabbia, le vesciche e le unghie ormai penzolanti. Eppure «il dolore mi ricorda di essere vivo». I chilometri volano, e anche la sabbia che si impasta tra i denti. Giunto a ridosso di Petra, un’idea un po’ fuori dalle righe – e contro il regolamento – balenò nella testa di Raffaele Brattoli: trovare della coca-cola per festeggiare il compleanno dell’amico Paolo Barghini (che arrivò a tagliare il traguardo con il miglior tempo). «Mi imbattei in un beduino al quale chiesi dove avrei potuto trovare un negozio aperto». La deviazione che seguì, materializzò nel suo zaino un bottiglione di una bibita ghiacciata. Sebbene gli avesse fatto perdere posizioni e tempo, suppergiù 30 minuti, all’ultramaratoneta peschierese non importava: lui non compete infatti per una posizione ma contro il limite della sopportazione umana. Sopraggiunge il 19 maggio 2012, la tappa finale. L’arrivo è previsto nella stretta gola del Siq, sotto la solennità dell’edificio sacro di El Khasneh (location dove hanno girato la fase finale di Indiana Jones, L’Ultima Crociata). «Così, passo dopo passo, ho raggiunto il sospirato traguardo – racconta –. Tanto ero distrutto e sporco che per riconoscermi occorreva leggere il numero di pettorale; ho perso molti chili, e la barba lunga invecchiava il mio visto nascondendone però in parte l’affaticamento». Un urlo liberatorio, durante la premiazione, ha messo la parola “terminata” alla gara in Giordania con un ottimo posizionamento: 31esimo in classifica generale e un secondo posto nella graduatoria di categoria. «Il coraggio – chiosa Raffaele Brattoli – non è arrivare in fondo, ma è partire». E lui, assicura, è già pronto per addentrarsi in altre molte avventure.

Maurizio Zanoni