Le operatrici delle mense scolastiche non si sentono rappresentate

Quando le contatto via telefono per prendere un appuntamento con loro, da subito la risposta appare strana: «arriva verso le 16, ma se vedi fuori la macchina del cuoco non entrare e aspetta che se ne vada: davanti a lui non possiamo parlare». Raggiungo la mensa e, non vedendo l'auto che mi avevano descritto, entro nell'edificio. La mensa è ben attrezzata e le strutture sembrano adeguate: «l'unico problema è l'assenza dello spogliatoio: dobbiamo cambiarci nel corridoio». Ci sediamo a parlare, e iniziano a raccontarmi della loro condizione: «non abbiamo riunioni sindacali e, non essendo una squadra numerosa, non ci sentiamo rappresentate: infatti, il sindacato non si scomoda a venire a trovarci», mi raccontano, evidenziando la difficoltà a esporre i propri problemi lavorativi. Rispetto ai rapporti con la ditta, non presentano le problematiche di altre colleghe: «i nostri problemi sono più “terra terra”: ad esempio, la ditta non ci ha mai voluto pagare le scarpe per il lavoro». Spesso le questioni di principio siano superiori a quelle economiche. «Il vero problema, poi, è il rapporto con il cuoco: non ci rispetta, a volte ci chiama con il fischio, spesso non ci segna le ore di straordinario, e non è aperto al dialogo»: insomma, una condizione di mobbing da cui non riescono a uscire. La speranza è che sia sostituito, ma intanto sopportano la situazione: «che cosa possiamo fare? Chi ci darebbe ascolto?». Parlano velocemente, e sempre con un occhio rivolto alla porta: «il tempo passa, si deve tornare a lavoro».