Quattro ragazze malmenano una coetanea

È invece rimbalzata tra un telegiornale e l’altro la cronaca sangiulianese, in cui si raccontava di una baby gang tutta al femminile, che ha malmenato e rapinato A.T., una minorenne di origine ucraina, “colpevole” di aver richiesto l’amicizia sul network al fidanzatino di una ragazza del gruppo. La gang, composta da quattro sangiulianesi, di cui solo una maggiorenne, si è accostata a bordo di una cinquecento azzurrina al marciapiede percorso dalla coetanea, e improvvisamente C.R., 12 anni, R.G, 22 anni, L.M., 13 anni e la “capetta” del gruppo, G.S., 13 anni, sono scese dal veicolo, scagliandosi contro la vittima, tirandole pugni e calci e rubandole il cellulare, un vecchio Nokia, forse per verificare la presenza di sms o chiamate al numero del Romeo conteso.  Il fatto è avvenuto alla luce del giorno, in prossimità di via Marconi, a pochi passi dall’abitazione della vittima, residente con la famiglia in via Gorky. A intervenire per prima è stata una pattuglia della Polizia Locale. Le ragazzine, vestite tutte in modo casual e con i medesimi piercing sopra il labbro, non sembravano minimamente pentite al cospetto delle autorità, che dopo gli accertamenti di rito le hanno subito accompagnate alla caserma dei Carabinieri. Trasportata all’ospedale di Vizzolo Predabissi,  la vittima se l’è cavata con otto giorni di prognosi. Ma alla luce di questo grave fatto, soprattutto perché commesso da minorenni, non ci si può non porre delle domande. Come è possibile che ci sia tanta violenza fra gli adolescenti? Qual è l’impatto emotivo che Facebook può avere sulla quotidianità dei minori? L’abbiamo chiesto a due esperte del campo, titolari del C.O.S.S., il centro sandonatese con sede in via Veneto, che offre servizi di aiuto e di ascolto proprio agli adolescenti. «Condotte di questo tipo – chiarisce Sara Della Morte, laureata in Psicologia dell’Età evolutiva presso l’Università di Pavia – sono manifestazioni di veri e propri disturbi evolutivi, che si esprimono attraverso il comportamento. Di solito è presente alla base una difficoltà evolutiva nella costruzione della propria identità sociale, alla quale il giovane tenta di far fronte, cercando tramite la violenza un’autoaffermazione all’interno del gruppo dei pari». E se le cause possono essere tante, quali l’iperattività, problemi di autostima e di emotività negativa, non appropriate interazioni educative nell’infanzia, spesso manca totalmente un senso di colpa per la violenza fatta: «Gli adolescenti – spiega Alessia Madonia, laureata in Psicologia Clinica e Neuropsicologia presso l’Università Bicocca di Milano – che commettono atti simili sembrano essere privi di sensi di colpa nei confronti della vittima, anzi, attribuiscono colpe a quest’ultima. Gli atti di violenza sono frequentemente commessi in gruppo, il quale contribuisce a indebolire il controllo e l'inibizione delle condotte negative e ha l’effetto di attenuare e diffondere la responsabilità del singolo». Ci si chiede infine se Facebook abbia avuto un ruolo in questa vicenda: «I social network possono influire negativamente sullo sviluppo psichico dei ragazzi. I giovani, che hanno sempre più spesso a che fare con identità virtuali, assegnano uno scarso valore alla loro identità nel mondo reale e questo potrebbe renderli più vulnerabili a comportamenti impulsivi. La mancanza di rapporti reali impedisce che nel ragazzo si costituisca una struttura psichica forte e autonoma. E così accade che questo metta in atto condotte antisociali e aggressive, o avverta la necessità di crearsi una dipendenza che appaghi i bisogni».

Stefania Pellegrini