Bambini, consumatori a tutto campo

Il consumismo ha contagiato anche il mondo dell’infanzia che in questi anni è diventato oggetto di interesse da parte di produttori che trattano ogni genere di merceologia. E così, senza averlo deciso o sentita l’esigenza, i bambini sono diventati consumatori di tutto: dall’hamburger con patatine agli snack, dalle cole ai giocattoli, fino all’abbigliamento trendy. Senza parlare della tv e dei videogiochi che sono diventati baby-sitter a tempo pieno e propinano loro di tutto un po’.

Il concetto di possesso rende i bambini competitivi nei confronti dei loro amici e li rende ansiosi e insoddisfatti; quest’ansia ha contagiato anche i genitori che “misurano” spesso la superiorità dei loro figli in base all’abbigliamento firmato, al gioco di ultima generazione, al luogo più “in” dove festeggiare i compleanni.

I bambini dal canto loro sono così abituati a ricevere che, anche se grandicelli, non hanno maturato alcun senso del denaro, tutto è a portata di mano, chiedono e consumano in continuazione. Durante le feste di compleanno ricevono decine di regali, aprono un pacchetto senza soffermarsi su ciò che contiene già pronti a scartare il successivo. A Natale fanno altrettanto, sotto l’albero trovano di tutto: scartano felici i pacchetti e una volta scoperto il contenuto lo “archiviano” in un armadio e se lo dimenticano del tutto.
Se i bambini non fossero incoraggiati alla competizione dal contesto sociale in cui vivono e dai famigliari sarebbero più spontanei con i coetanei e non avrebbero bisogno di sentirsi superiori perché digitano sui più avanzati touch screen o portano scarpe di una certa marca. Il risultato di questi comportamenti è che i ragazzini privilegiano la dimensione del possesso rispetto quella della relazione. Sarebbero più sereni rincorrendo un pallone con gli amici, e svilupperebbero un sano antagonismo sportivo o una più naturale compartecipazione al gioco.
Tanta responsabilità di questa situazione è anche della pubblicità: durante i programmi per ragazzi la tv spara a raffica spot che promuovono di tutto, con il risultato di creare bisogni continui, favorendo l’identificazione dei bambini (ma anche degli adulti) con i prodotti pubblicizzati.
Fortunatamente non è così ovunque, in molti Paesi europei, per esempio, sono vietate le pubblicità interpretate da bambini e altrettanto vietato è inserire spot commerciali nei programmi dedicati a loro. Non solo, in Francia, prima dei baby-programmi, viene trasmesso il seguente messaggio: “Guardare la televisione può frenare lo sviluppo dei bambini minori di tre anni, causare ritardi psicomotori, incoraggiare la passività, causare sovraeccitazione e turbe del sonno”.
Certo, sarebbe più corretto non inserire gli spot nel palinsesto (è una contraddizione, come il monopolio di stato che vende le sigarette con la scritta “Nuoce alla salute”), comunque è già qualcosa, perché significa che un pensiero di preoccupazione al proposito è stato fatto. Chissà che una normativa più saggia non arrivi anche da noi.
Anche il tempo si è trasformato in consumo. Ogni momento della giornata dei bambini è scandito dai più svariati corsi (karate, nuoto, danza e di tutto un po’) occupato da mille cose, riempito con ogni sorta di impegno.
I bambini non hanno più tempo e questo toglie spazio alla loro autonomia creativa. Non hanno tempo per pensare, liberare la fantasia… magari annoiarsi un po’. La noia non è tempo perso, è tempo libero che li aiuta a crescere e a sviluppare pensieri sani e costruttivi. Dobbiamo smettere di sentirci spaventati quando vediamo i nostri figli o i nostri nipoti inattivi… in quel preciso momento stanno costruendo le basi per la loro crescita intellettuale, dobbiamo essere capaci di lasciarli liberi. Non ci rendiamo conto che con questo comportamento togliamo loro il piacere di desiderare qualcosa, perché li anticipiamo in tutto. Togliamo loro il piacere di scoprire da soli qualcosa, di costruirsi e inventarsi il mondo.
La crisi che si è abbattuta in questi anni in gran parte del mondo sta sicuramente ridimensionando il problema: è diminuita la disponibilità economica quindi le famiglie spendono meno, ma il rischio è che questo cambiamento porti con sé un immaginario collettivo frustrante, di rinuncia e non venga vissuto, come invece a mio parere dovrebbe essere, come un’occasione per ritrovare una nuova libertà da costrizioni che rendono schiavi prima di tutto gli adulti e di conseguenza i nostri bambini.

Vanda Loda
(Altri articoli dedicati ai bambini su: blogdeinonni.org)