San Donato, 8 marzo, presentazione del libro «Ucraina: grammatica dell’inferno» di Filippo Poletti presso la Scuola “Salvo D’Acquisto”

Dalle parole del volantino di Nicole all’ incontro sulla pace alle 8:45 in via Europa con le classi 5A, 5B e 5C

Un anno fa Nicole, mamma ucraina e papà italiano, studentessa di 9 anni della scuola elementare “Salvo D’Acquisto” di San Donato Milanese, aveva distribuito il suo volantino davanti alla piazza del Comune nel quale scriveva «Sos Ucraina. I miei nonni abitano al 13esimo piano di Cherson e vedono file immense di carri armati che vengono a bombardare».  Il volantino in questione ha tanto ispirato il giornalista sandonatese Filippo Poletti, per anni firma delle pagine di cronaca di oltre 15 testate giornalistiche, da spingerlo a scrivere un libro dal titolo Ucraina: grammatica dell’inferno.
Sarà proprio il giornalista a presentare il libro e ad a incontrare gli alunni delle tre quinte classi della scuola primaria “Salvo d’Acquisto” di via Europa 38 a San Donato Milanese mercoledì 8 marzo alle ore 8:45, Giornata della donna, per riflettere sui temi della pace.
Filippo Poletti, giornalista professionista con più quasi 25 anni di esperienza e già consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti, ha scritto per oltre 30 testate nazionali ed è uno degli influencer più seguiti in Italia su Linkedin.
«I nonni di Nicole – racconta Poletti – abitavano a Cherson, nella città portuale dell’Ucraina meridionale sul fiume Dnepr, annessa lo scorso febbraio: dopo l’inizio della guerra sono fuggiti nell’Ucraina centrale. Incontrando Nicole nella piazza del Comune di San Donato Milanese mi sono detto: “se la piccola della quarta elementare è scesa in piazza con i volantini, come giornalista ho il dovere di scendere nell’arena dell’editoria”. Così ho fatto scrivendo “Ucraina: grammatica dell’inferno”». All’incontro alla scuola primaria, che ha accolto nell’anno scolastico in corso due studenti provenienti dall’Ucraina, saranno presenti gli studenti della 5A, 5B e 5C, le loro maestre Veruska Failla, Giovanna Coppetti, Giuseppina Scattarella e Fabiana Montana, e il preside Enrico Sartori.
L’opera, in 240 pagine, racconta la cronaca di un anno di conflitto arricchita con le testimonianze delle donne ucraine arrivate a Milano dopo il 24 febbraio 2022 e accolte all’interno del Progetto Arca, la cui mission è di dare assistenza alle persone favorendone l'autonomia e l’integrazione sociale. Presentati in 51 grandi racconti, i principali fatti della guerra in Ucraina (dalla strage di Borodyanka a quelle di Bucha, Irpin, Kharkiv, Kramatorsk, Mariupol e Zaporizhzhia) sono commentati dalle profughe tra i 33 e 50 anni, indicate con il solo nome di battesimo così da rispettare la loro richiesta di non diffondere il cognome e renderle riconoscibili. In Ucraina lavoravano come imprenditrici, ingegneri, farmaciste, biologhe, insegnanti di danza, traduttrici, cassiere, commesse o addette alla reception. Il 24 febbraio 2022 hanno perso tutto. Nel racconto vengono evidenziate le conseguenze che la guerra ha avuto sulla vita delle persone: più di 10 milioni, pari al numero degli abitanti della Lombardia sono fuggite di casa, di cui 4,8 milioni sono state registrate per la protezione temporanea in Europa, 5,4 milioni risultano sfollate mentre oltre 17 milioni hanno avuto bisogno di assistenza.
L’Italia ha accolto 145.829 profughi, l’84 per cento donne e bambini e più del 60 per cento di loro ha trovato rifugio nel nord. È un numero rilevante, che, all’incirca, corrisponde alla popolazione di Foggia, Cagliari o a quasi cinque volte gli abitanti di San Donato Milanese.
Tra di loro c’è ad esempio Halyna: «Ho 36 anni: la notizia dell’attacco all’ospedale di Mariupol del 9 marzo 2022 mi ha spinto a lasciare il mio Paese. Ho pensato che se non c’era pietà per i bambini, che sono il futuro, non ci sarebbe stata neanche per me. Ho preso l’essenziale, chiuso la porta e sono scappata in Italia». Oppure, ancora, c’è Caterina che dice: «Chiudo gli occhi e penso alla mia famiglia, ai miei figli prima di tutto e, poi, ai miei genitori. Il 24 febbraio 2022 è stato l’inizio della fine». Come documenta Irina, mamma di Arina, danzatrice di 15 anni ospitata all’Accademia ucraina di balletto con sede in via Quadronno a Milano, con l’invasione russa la vita degli ucraini è cambiata in un istante e in pochi giorni la maggior parte degli abitanti di Kiev è dovuta fuggire: «Sparavano alle auto sulla strada e l’intera città era ferma ai posti di blocco. Per tre o quattro giorni siamo rimasti in casa e abbiamo sentito solo esplosioni, spari dalla strada e il rumore dei carri armati e dei mezzi corazzati militari che viaggiavano lungo le strade».
A scaldare il cuore dei profughi è stata l’accoglienza ricevuta nel nostro Paese: «Grazie: questo è il primo pensiero che mi viene in mente. Grazie all’Italia e all’Europa che dicono di no, in tutti i modi, a questa guerra», confida Giulia.
Anche Aliona racconta la vicinanza del popolo italiano: «Solidarietà: ho sperimentato e vissuto questa parola sulla mia pelle. Sono scappata passando da Leopoli e poi, tramite la Polonia, sono arrivata in Italia. Ho sperimentato la corsa alla solidarietà che, quando non hai più nulla, ti porta a sperare in una nuova umanità: un’umanità di vita e non di morte, di pace e non di guerra».
Da Natalia arriva questa proposta rivoluzionaria: «Se il mondo fosse in mano ai bambini, la guerra non esisterebbe. Sono un'insegnante di una scuola materna che si trova vicino a Mariupol. Lavoro con i bambini da 18 anni: loro sanno che la guerra è brutta e che basta incrociare le mani e gli sguardi per fare la pace. Il mondo deve essere dei bambini».