Peschiera, Claudio Ghisoni, l'addio amaro al Centro sportivo Borsellino, ma non al tennis

Dopo ventiquattro anni di onorato servizio, il maestro di tennis peschierese si trasferisce a Milano: «A Peschiera non ci sono più le condizioni»

Tenuta sportiva, occhiali da sole Ray Ban e sorrido giovanile, così ci accoglie Claudio Ghisoni, 68 anni, maestro di tennis da una vita, nel bel mezzo di un suo allenamento al centro Quadrifoglio di Peschiera Borromeo. Lo aspettiamo mentre scambia le ultime palle con i suoi ragazzi e poco dopo siamo seduti sulle scalinate a intervistarlo in merito alla sua carriera e non ultimo, al suo addio al Borsellino dopo ventiquattro anni di servizio.

Ciao Claudio, perché non ci racconti qualcosa di te per cominciare?

«Ho iniziato a giocare perché mio padre era un giocatore ed è grazie a lui che ho scoperto questo bellissimo sport, questa passione. Ho iniziato a quattordici anni, un po’ tardino in effetti. Come giocatore sono stato discontinuo, preferivo altri sport, ma ho sempre giochicchiato, diciamo. Poi passate le giovanili mi è venuta la scintilla dell’insegnamento, o meglio l’ho sempre avuta, fin da sempre».

È stata dura passare da giocatore discontinuo a ottimo maestro di tennis?

«Beh da giocatore a maestro è la tradizionale evoluzione di questo sport anche se ho sempre avuto quell’occhio di riguardo verso l’insegnamento. Avevo già in mente quello che sarei stato. Andavo a vedere i maestri e stavo lì a guardarli per ore, per me è stata la normalità. Ho iniziato la mia attività a Pirelli, che oggi è diventata Pro Patria, ed è lì che mi sono formato per poi venire a Peschiera, dove abito da più di vent’anni».

E qui hai iniziato ad insegnare al centro sportivo Borsellino, giusto?

«Esattamente. È da ventiquattro anni che insegno lì. Era una scuola fiorente all’epoca, attirava tanti ragazzi e si era creato un ottimo ambiente per insegnare, per crescere e per migliorare».

Era?

«Beh, oggi per varie ragioni che non starò qui ad elencare si è notevolmente smagrita e non c’erano più le condizioni per poter praticare lo sport in tranquillità. Se ai ragazzi dai una struttura senza riscaldamento, senza luci e igienicamente sporca è naturale che pian piano se ne vadano».

Quindi è per questo che ti trasferisci?

«Questo è solo uno dei tanti motivi. Ho ancora una buona clientela, sia per lezioni di gruppo che private, e non potevo più permettermi di offrire un servizio non all’altezza delle mie aspettative. Concludo quest’anno al Quadrifoglio, e fra quattro settimane inizio al Centrale di Milano vicino a Porta Romana, che ad oggi è il campo da tennis più centrale della città. C’è tanto rammarico perché se non ci fosse stata questa situazione assurda non mi sarei mai sognato di andare di là. Soltanto che erano già un paio d’anni che mi facevano una corte assurda e allora per essere onesto nei confronti dei miei allievi ho accettato. Non appena ho mandato la lettera di dimissioni ho scatenato un putiferio: ho ricevuto più di duecentocinquanta e-mail di rammarico e di apprezzamento, e questo mi ha fatto davvero molto piacere. Qualcuno mi ha chiesto di venire di là ma la vedo dura con lo spostamento».

Per concludere, progetti futuri? Hai intenzione di fermarti presto?

«Neanche per sogno. Non ho intenzione di smettere. Ho fatto un contratto di dieci anni e non vedo l’ora di iniziare. Non mi stanca mai farlo, non ci sono giorni in cui mi alzo e vorrei tornare a letto. Mai uscito di casa con malavoglia e questa è una grande fortuna. Ho fatto della mia passione un lavoro e del mio lavoro una passione. La parte più affascinante è il contatto con i ragazzi, questi (indica tre ragazzi presenti sul campo) sono cresciuti con me. Li ho presi che avevano sei, sette anni e ormai son degl’uomini. È la mia vita, non potrei smettere e mi diverto tanto». 

Grazie Claudio, buona fortuna.
Mattia Russo