Una tragica storia di ignoranza o di stupidità?

L'opinione di Giancarlo Trigari: quando la cosiddetta medicina alternativa uccide

La cosiddetta medicina alternativa ha fatto a Rimini un'altra vittima: una donna di 34 anni che ha rifiutato di sottoporsi alle cure della medicina scientifica, che secondo il medico, che le aveva diagnosticato un cancro al seno, avrebbero potuto salvarla.

Se il cancro al seno viene identificato allo stadio iniziale e curato nei centri specializzati, con protocolli riconosciuti a livello mondiale, la sopravvivenza a cinque anni è del 98%. Colpisce una donna su otto e rappresenta la prima causa di mortalità per tumore nelle donne; per questo motivo non può essere assolutamente sottovalutato.

Nonostante si tratti di un male così temibile questo non è il primo caso di persone che preferiscono andare incontro, disarmate, ad un tragico destino di morte.

Si potrebbe sostenere che se uno ha deciso di suicidarsi sono fatti suoi, e al limite dei suoi familiari, e non ci si può fare nulla.

In realtà non sono affatto affari suoi. Nel momento in cui si accetta di vivere nell'ambito di una comunità, cioè non in un deserto affidati a se stessi, si assumono nei confronti di questa comunità degli obblighi, primo dei quali quello di salvaguardare la propria vita, visto che il benessere di tutti è il fine principale della comunità e per il suo raggiungimento la stessa impiega ingenti risorse fin dalla nascita di ciascuno.

Suicidarsi o affrontare la propria vita in maniera irresponsabile è un segno di disprezzo nei confronti della comunità in cui si vive e quindi è sempre condannabile dalla società civile. Naturalmente non ha nulla a che vedere con l'eutanasia.

La sanità è una delle voci più impegnative nel bilancio di tutte le comunità evolute. Come conseguenza risulta uno dei campi di maggiore sviluppo della ricerca scientifica e della formazione di personale qualificato. In tutto il mondo milioni di persone ogni giorno lavorano per mettere a punto e applicare metodi di cura sempre più sofisticati, avvalendosi di tutte le risorse che rappresentano il corredo della scienza in tutti i campi. Questa è la medicina, che è scientifica, perché usa solo metodi scientifici, il resto sono solo deliri irresponsabili.

Nonostante ciò ci sono persone che per stupidità od ignoranza si affidano a guaritori, privi di qualsiasi attendibilità scientifica.

Qualcuno in questo caso ha detto che si tratta di deliri di onnipotenza. Si pagano le conseguenze di una costante denigrazione della professionalità: tutti si ritengono in grado di fare tutto.

La grande massa di informazioni disponibili senza alcun filtro e con poco sforzo, fa si che qualcuno ritenga di poter rapidamente acquisire le conoscenze per prendere decisioni su qualsiasi tema, ritenendo di avere la stessa cognizione di causa di chi alla conoscenza di quel tema ha dedicato una vita, in questo senso esprimendo un delirio di onnipotenza. In Internet il metodo di cura della medicina scientifica può occupare una sola pagina, ugualmente, se non di più, i deliri di Hamer, radiato dall'ordine dei medici; cosa potrà salvare l'ignorante dal considerarli confrontabili?

Tuttavia in particolare in relazione all'ultimo episodio di Rimini sorge qualche dubbio che si tratti esclusivamente di un caso di folle ignoranza.

L'indizio che suggerisce altri aspetti è che la signora era rimasta particolarmente colpita dalla esperienza del padre, anche lui morto per un tumore, dopo aver molto sofferto a causa della terapia. Nella medicina scientifica ogni caso rappresenta una storia a se, e i motivi dell'esito letale possono essere molto diversi. Non è possibile trarre da un caso conclusioni sull'efficacia di una cura.

In realtà la presa di posizione negativa nei confronti della cura ha un'altra causa che agisce a livello inconscio e spinge il malato a cercare cure alternative, ricacciando nel subconscio la certezza razionale che si tratta di una decisione che quasi sicuramente lo condurrà alla morte. Si affida ad una lontanissima speranza per effetto di una paura che lo attanaglia più della paura della stessa morte, che ricordiamolo è il raggiungimento di uno stato di pace assoluta: la paura del dolore.

La paura del dolore, prima ancora che lo stesso dolore colpisce la psiche delle persone che fino a quel momento hanno avuto tutto dalla vita. Per loro sono state poche le occasioni, sempre su aspetti molto marginali, di confrontarsi con grandi difficoltà, quelle che richiedono sacrifici e fanno soffrire, creando la corazza necessaria ad affrontare il dolore.

Molto spesso è la famiglia che ha funzionato da schermo, assorbendo le avversità del mondo esterno, e facendo intravedere solo una società edonistica che aspetta unicamente di glorificare persone belle e di successo.

Quando la malattia conduce verso il tunnel dello sfregio e del dolore, la psiche fragile si ribella e non sopporta l'idea di rischiare di rinunciare a tutto quanto fino a quel momento è apparso come un diritto acquisito. Considera questa eventualità la vera fine, peggio della morte, che invece a quel punto sconfigge il temuto dolore e appare liberatrice.

Giancarlo Trigari