«L’Arte nella mia vita»: l'artista Santina Portelli si racconta

«Dipingo con la bocca fin da bambina: giocavo con i colori, mi sporcavo, li mangiavo come se fossero pane; i colori mi hanno sempre affascinato e imbrattarmi mi è sempre piaciuto. Se avessi potuto usare le mani, avrei spremuto tubetti come se fossero limoni.

«Dipingo con la bocca fin da bambina: giocavo con i colori, mi sporcavo, li mangiavo come se fossero pane; i colori mi hanno sempre affascinato e imbrattarmi mi è sempre piaciuto. Se avessi potuto usare le mani, avrei spremuto tubetti come se fossero limoni. Intorno ai tredici anni - a Milano frequentavo la scuola speciale G. Negri - iniziai a studiare pittura: storia dell’arte e varie tecniche pittoriche applicate; mi seguì, per una parte iniziale del mio percorso artistico, il pittore Bruno Carati e successivamente il maestro Gianni Guidolini Santamaria. Il mio primo dipinto fu riprodurre, su una piastrella di ceramica, un mio precedente disegno: il soggetto era un paesaggio invernale, ma su ceramica i colori scivolavano ovunque, tutto era molto affascinante. Con gli anni divenni una apprezzata ceramista e collaboratrice nel laboratorio della professoressa Madureri; la pittura su ceramica era la mia parte ludica, gioiosa e già fare l’impasto del colore era per me una festa. Proseguii imparando la pittura a olio e, di lì a poco, mi sperimentai anche sulla creta con dei bassorilievi e fu così che tre denti e la mia carriera di scultrice ebbero fine. La mia pittura all’epoca era una pittura di “scontro”: pur essendo una ragazza allegra, ero anche molto riservata, così, durante l’adolescenza, la pittura divenne uno strumento per comunicare tutti i sentimenti che non riuscivo ad esprimere in altro modo; tutta quella parte nascosta che mi apparteneva e che nessuno riusciva a capire: la rabbia, il dolore, l’urgenza di fare domande e avere risposte attraverso quadri simbolici con colori scuri e stridenti e tele fatte di getto. La chiamavo “la pittura di stomaco”. Nel 1965 m’informarono a scuola che la SPAM di Verona cercava un pittore da promuovere in Italia e la scuola fece il mio nome. Portarono alcune mie opere nel Liechtenstein e nel 1966 - avevo solo 17 anni - divenni borsista dell’Associazione V.D.M.F.K. (Associazione mondiale che promuove artisti che dipingono con la bocca e/o con il piede). La pittura divenne per me lavoro e possibilità di emancipazione. Conobbi il presidente-fondatore E. Stegmann, un uomo generoso e di geniale acutezza nonché grande artista in ogni campo, una persona molto vitale. Lo ammiravo moltissimo, purtroppo ho potuto comunicare con lui solo attraverso i grandi sorrisi che ci facevamo perché io parlavo solo italiano. La mia stima nei suoi riguardi era ed è infinita: per la geniale idea di aver fondato la V.D.M.F.K. e il coraggio di aver seguito e reso concreto questo sogno in anni in cui la persona con handicap era veramente emarginata in ogni campo. Questa sua genialità generosa ha creato la possibilità per altri artisti disabili di riscattarsi da questa marginalità attraverso il lavoro. Negli anni, il suo esempio mi ha spronato idealmente a seguire i miei sogni, a non avere paura di osare perché non solo nulla era impossibile in campo artistico per un disabile, ma anche negli altri aspetti della vita. Per questo ho sempre ritenuto Arnulf Erich Stegmann un vero maestro. Alla fine degli anni’70, contro il parere di molti che mi vedevano solo come pittrice, volli osare e decisi di realizzare un altro mio sogno: studiare. Nel 1985 mi sono laureata in psicologia e ho iniziato a collaborare con alcune università per la formazione d’insegnanti e psicologi, a Roma e a Milano, viaggiando anche in treno merci per l’Italia. Dopo la laurea e l’esperienza nel campo della psicologia, la pittura è tornata a essere una scelta: è lo specchio di un periodo appena vissuto, diventa una pittura “d'incontro”: più ricerca e meno simbolismo, molta più atmosfera, tele curate, “scoperta” dei colori chiari. Dagli anni ’90 ho ripreso con sempre più intensità la mia attività artistica, nel 1993 sono divenuta membro associato e dal 2000 membro effettivo V.D.M.F.K. Alcune volte mi chiedono: la disabilità può essere un limite per l’espressione artistica? E io rispondo che sarei nata scultrice, mi sarebbe piaciuto con le mani trasformare la materia in espressioni artistiche; da sola, usando la bocca, non avrei potuto, avrei potuto progettare, disegnare, da un’idea ad uno stile, ma non mi bastava. Ho dovuto quindi piegare il mio desiderio alla realtà dei miei limiti fisici. Allo stesso tempo, proprio per superarli, ho cercato e trovato una risposta: usare i miei limiti con immaginazione e fantasia. Ho dipinto con il naso, il mento, ho sperimentato la pittura ad olio acquerellata, ho dipinto su tele grandi “bevendo” solventi tossici, dipingendo al contrario, ho scavato con bacchette di legno nel colore a olio facendo diventare i miei lavori simili all’incisione e così via. Io volevo di più da me stessa, molto, molto di più. Così iniziai a volermi misurare in una pittura che mi avevano detto impossibile da realizzare con la bocca: la tecnica di pittura su ceramica con acqua e zucchero da stendere con il pennino. Ci sono riuscita attraverso un percorso di studio e lavoro durato anni. Durante quegli anni, la volontà di superare la mia disabilità ha trovato il modo di piegare il mio handicap e ciò mi ha reso più sicura e più libera. Questa voglia di fare ricerca e di sperimentare nuove tecniche e materiali mi ha portato a realizzare opere su legno e, attualmente, anche su marmo. Sono principalmente una paesaggista con l’amore per il mare e i grandi spazi, la mia pittura è fatta di pennellate intense, ma lievi, trasparenti, e sempre in “movimento”».

Diversità«L’Arte è sporcare,
Sporcarsi, imbrattarsi,
Lasciarsi andare
Per poi… dare la Vita.
Non penso la vita,
La amo,
La vivo,
Le corro incontro
e… mi faccio prendere»
Santina Portelli
DopoLa mostra, una personale dal titolo “Nel buio si vive?" si terrà dal 7 al 20 giugno. Sarà visitabile tutti i giorni dalle 16 alle 19. Vernissage sabato 7 giugno ore 18 nella Sala esposizioni del Centro Verdi in via XXV Aprile a Segrate.

Intrecci di cammini La solitudine trasforma