Bambini in carcere, condannati innocenti!

Il problema dei bambini nati in carcere o che hanno genitori detenuti è un argomento tabù, normalmente non se ne parla. È una realtà molto penosa, a prescindere dalle colpe dei loro genitori, ma recentemente, viste le condizioni pessime in cui versano le carceri italiane, la situazione è finita sotto i riflettori dei media con servizi e inchieste.

Di questa attenzione bisogna rendere merito all’associazione milanese Bambinisenzasbarre, impegnata da undici anni nel sostegno psicologico a genitori in carcere e ai loro figli. Tra le numerose attività svolte in questo campo ha realizzato una campagna per la raccolta fondi “Non un mio crimine, ma una mia condanna” e ha curato la parte italiana della prima ricerca europea sui bambini in carcere* che aveva l’obiettivo di adeguare il sistema penitenziario alle esigenze della Carta internazionale della convenzione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
Sono oltre 100mila i bambini, in Italia, che vivono la drammatica esperienza di detenzione di uno o di entrambi i genitori e che ogni giorno varcano la soglia delle 213 carceri sparse sul nostro territorio per incontrarli. Una realtà che li emargina e li mette in una situazione di vergogna e di fragilità sul piano psicologico.
Sono invece una sessantina quelli sotto i tre anni che vivono in carcere, in appositi nidi o in strutture dotate di sistemi di sicurezza. Gli ambienti sono arredati in modo confortevole, le guardie carcerarie hanno il dovere, dico il dovere, di sorridere ai bambini e mantenere un atteggiamento sereno, ma ciò non toglie che questi bimbi vivano una situazione drammatica.
Una circolare ministeriale del 2009 ha stabilito il comportamento cui debbono attenersi gli addetti nei loro confronti, definita da Bambinisenzasbarre “Circolare del sorriso” perché tra le raccomandazioni c’è anche l’invito a sorridere…ma ciò non cambia questa triste realtà.
Al compimento dei tre anni i bambini devono uscire dal carcere per essere affidati ad altri familiari. Il distacco è durissimo: per le mamme, che rimangono rinchiuse, e per i bambini che vengono separati dalla mamma e dall’unico luogo che hanno conosciuto nella loro breve vita.
C’è una proposta di legge, che dovrebbe entrare in vigore nel 2014, per consentire alle donne condannate con figli minori di non scontare la pena in carcere ma in case protette.
Ed è auspicabile una legge idonea, che parta dal concetto che la detenzione, in questi casi, venga considerata come l'ultima delle soluzioni, che dia alternative valide al carcere e tenga in considerazione i bisogni delle carcerate e dei loro figli.
È tristissimo pensare a bambini che crescono chiusi tra quattro mura, condannati innocenti, la cui vita è segnata, anche perché spesso le loro madri vengono da storie drammatiche che potrebbero, una volta libere, farle ricadere in storie giudiziarie. Per cui i loro figli, dopo essere cresciuti in carcere, rischiano di trasformarsi nei 100mila ragazzini che periodicamente vi ritornano per incontrare i genitori.
I primi tre anni di vita sono fondamentali per una sana crescita affettiva e relazionale. Penso ai danni che può arrecare in un bambino piccolo la privazione di una vita libera, segnata da sorrisi e comportamenti dovuti. Fortunatamente hanno le loro mamme vicine, ma non sanno cosa significhi una passeggiata al parco con un nonno, il racconto di storie vissute che li avvicini alle proprie radici, l’addormentarsi accanto a una nonna che racconta una fiaba o canta una nenia. O semplicemente che apra loro una merendina: un gesto banale, in un certo senso, ma che si arricchisce di significati quando sono un nonno o una nonna innamorati di loro a compierlo, magari all’uscita dall’asilo. Quella merendina, in quel preciso momento, non trasmette solo il suo carico alimentare ma anche tutto il suo carico di amore. È l’esperienza del sentire reciproco che fa la differenza e che contribuisce ad arricchire la sfera affettiva di ogni bambino.
È facile affrontando questo tema ricadere negli stereotipi: le madri sono colpevoli (a volte di fatti gravi), fanno le vittime ma dovrebbero pensarci prima eccetera, non è detto che sappiano dare ai bambini l'affetto di cui necessitano, che li portino ai giardinetti, che ci siano i nonni e altro.
Ma possiamo pensare che il problema vada impostato in un altro modo e, pur tenendo conto di dati di realtà, senza buonismi retorici, sia possibile un approccio da popolo civile, dove si affronti il problema nella sua complessità creando una nuova “cultura” che impegni non solo gli addetti ai lavori, spesso disperati e con scarse risorse, ma il contesto sociale nel suo complesso. Facciamoci una domanda: chi ama veramente i bambini e sente che hanno diritti dei quali bisogna non solo parlare? Si potrebbero realizzare azioni collegate al territorio e creare “un mondo” speciale per i bambini, con progetti semplici e non necessariamente costosi. Chissà se qualche lettore si associa per dare vita a un modo diverso, non dico più buono, ma più “giusto” di affrontare con responsabilità un problema che ci tocca come persone.

Vanda Loda

(Altri articoli dedicati ai bambini su: blogdeinonni.org)


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* L’indagine si è svolta contemporaneamente in Danimarca, Irlanda e Polonia; in Italia è stata coordinata da Bambinisenzasbarre in collaborazione con il Ministero di Giustizia, dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, l’Università Statale Bicocca di Milano e il coordinamento europeo dell’Istituto per i Diritti umani di Copenhagen.