Omaggio a Virginio Poli, drammaturgo per fortuna e per passione

Un articolo di Paolo Rausa che ricorda l'uomo di teatro e di sventura, ma anche d'amore, qual è stato Virginio Poli che ci ha lasciato

Virginio Poli

Virginio Poli

Con ‘Arriva lo zio di Dallas’, una commedia brillante, Virginio Poli era sulle scene del compianto cine teatro Ariston di San Giuliano Milanese il 10 ottobre 2014. L’avevo intervistato, per il personaggio in sé e perché apprezzavo moltissimo questo tipo di teatro popolare, con battute dialettali ad effetto, in milanese o quel che restava della sua lingua d’origine, il cremasco. Gag, situazioni paradossali, personaggi tipicizzati, la tensione dei puarèt a superare le condizioni precarie dell’esistenza. Si ride ma sotto la scorza si intravede, come è tipico del dialetto comico, la drammaticità della vita, l’eroismo si potrebbe dire.  Era seguito un altro grande successo, la rappresentazione della commedia ‘La me tusa la spusa un teron’ sempre all’Ariston di San Giuliano, replicata a richiesta del numeroso pubblico rimasto fuori dal teatro l’11 ottobre 2015. Varie ragioni contribuivano a sancire il successo dei suoi spettacoli: la bravura degli attori innanzitutto, la semplicità della trama in apparenza, la tipizzazione dei personaggi, i luoghi comuni, le battute pronte e salaci, ma soprattutto la spassosità.

Il pubblico gradiva molto la vena umoristica e aveva visto rappresentare sé stesso con i suoi tic, le sue manie, le contrapposizioni razziali, vere ma ricomposte nei finali non drammatici, felici dove tutto si risolveva a fin di bene. Una comicità che ricordava quella plautina dove si indovinava la battuta, anzi la si aspettava, la si anticipava persino. “Siamo noi sul palco a interpretare la commedia della vita.”, diceva Virginio. Nella commedia in discussione non era la razza, come nel film ‘Indovina chi viene a cena’ del 1967 con Sidney Poitier, ma la provenienza siciliana del fidanzato, che era innamorato della figlia di una famiglia di lombardi doc, che creava contrarietà. La loro unione si scontrava con il pregiudizio da parte dei genitori di lei tanto che la madre ricorreva all’intervento di un esorcista per vincere il malocchio. Una commedia brillante, in tre atti. ‘Sono passati in fretta 10 anni della nostra vita umana. – diceva allora – Scampando ai pericoli e calcando le scene è stato un tutt’uno!’ Non che sia stato sempre attore e regista amatoriale Virginio. No, aveva imparato, osservando Renzo Fop al circolo anziani di San Giuliano. Mary, che aveva scelto di condividere con lui scampoli di vita, era stata reclutata come truccatrice nella Compagnia ‘I semper Giuvin’, un titolo che gioca come per canzonare il tempo che trascorre. In quella intervista Virginio si lasciò andare e tracciò il racconto di come era vissuto sulle montagne russe, le vicende altalenanti di profondo abbattimento e di grande esaltazione, sempre sul filo del rasoio.

Virginio e Mary

Virginio e Mary

Come Mary, figlia di minatore, che per cambiare la sua esistenza arrivò a Milano verso la metà degli anni ’60. Due vite parallele, intensissime, neanche a credersi se gli avvenimenti non fossero stampati nel libro confessione, ‘Percorsi d’amore. I destini incrociati di Virginio e Maria’, presentato il 3 marzo 2018 in Sala Previato, presso la Biblioteca Comunale di San Giuliano Milanese. Pagina dopo pagina, nella disperazione e nella volontà di superare le difficoltà che si presentavano loro davanti. Terribili! Eppure quando tutto sembrava perduto, erano risorti. Si erano incontrati per caso e avevano sancito il patto d’amore mano nella mano guardando la luna, finalmente benefica e benedicente. Così avrebbero potuto aspirare finalmente alla felicità, quanta è concessa ai mortali.
Paolo Rausa