Profughi a Peschiera, Annoni (CDU): «Non imprigioniamoli in una tendopoli, pronta a esplodere»

«Quantomeno avviamo progetti per trasformarli da “peso morto” a risorse»

Lorenzo Annoni

Lorenzo Annoni Esponente CDU Cristiani Democratici Uniti

Un campo profughi alle porte di Milano. Con l’imminente arrivo di 300 richiedenti asilo, prossimamente ammassati in una tendopoli in allestimento nel comune di Peschiera Borromeo, sale la preoccupazione. Non soltanto dei residenti.

«Questo fenomeno migratorio, a carattere teoricamente temporaneo, ha l’effetto di riportare tutti noi a valutare nel concreto e non concettualmente la politica assistenzialista dettata da sinistroidi scriteriati e dalla stragrande maggioranza del mondo cattolico, specie quello che strizza l’occhio ai democratici - dichiara Lorenzo Annoni del partito Nuovo CDU di Milano -. Le conseguenze sono fin troppo visibili sul capoluogo lombardo: esistono molti immigrati che, dopo aver ricevuto inizialmente ospitalità, sono finiti ad arrabattarsi in mezzo alla strada, vicino a stazioni ferroviarie e sotto qualche cavalcavia. Vivendo di espedienti sono altresì soggetti e al contempo causa scatenante di problemi igienici, sanitari e di ordine pubblico. Ma si sa, al peggio non c’è mai fine. E adesso scopriamo infatti, certamente a malincuore, che anche alla provincia toccherà lo stesso destino: a Peschiera Borromeo saranno ospitati 300 richiedenti asilo tra i confini dell’ex stazione radar dell’aeronautica militare; praticamente un ghetto».
L’immediato rimpatrio sarebbe la soluzione più auspicata dalla sezione milanese del Nuovo CDU. In questo caso, il condizionale è d’obbligo.
«In assenza di misure risolute da parte delle istituzioni italiane di governo nazionale ed enti assistenziali cattolici, non possiamo che provare a ipotizzare un progetto: non concentriamo in uno spazio compresso così tante persone, di etnie e culture diverse - spiega Lorenzo Annoni -. Le popolazioni dell’Africa non sono affatto tutte uguali. Bisognerebbe creare dei sottogruppi per provenienza e affinità e dar vita a un accoglimento diffuso. Vale a dire: sparpagliamoli un po’ ovunque, nei vari territori, e non imprigioniamoli in una tendopoli, pronta a esplodere. Dopodiché ritengo sia utile capire cosa facessero nel loro Paese d’origine e quali competenze abbiano in loro possesso. Chissà mai che con un adeguato programma e serie strutture di inserimento, che oggi non intravedo, non si trasformino da “peso morto” a risorsa?!? Paghiamo fior di quattrini per mantenerli - aggiunge -. Creiamo allora dei piani professionali mirati, costruiti sulla loro conoscenza e operatività. Come mai in nessun assembramento, pubblico o privato che sia, non si sfruttano le capacità dei propri ospiti? Gli assistenzialisti ci rispondano».