Auspici di pace da Israele nelle parole di David Grossman

Non è la prima volta che Grossman si esprime apertamente insieme a molti altri intellettuali per la fine del conflitto continuo con i palestinesi e per la promozione di una cooperazione equa con la parte avversa

David Grossman

David Grossman

Il corsivo di Paolo Rausa

Sabato scorso alla manifestazione pubblica di Tel Aviv organizzata dalle ong pacifiste “Breaking the Silence” e “Standing Togheter” lo scrittore israeliano David Grossman, 67enne, autore di romanzi noti e apprezzati nel mondo, fra cui “Vedi alla voce: amore” del 1986 o “Qualcuno con cui correre” del 2000, “Col corpo capisco” del 2003, “A un cerbiatto somiglia il mio amore” del 2008, “La vita gioca con me” del 2019, è intervenuto pronunciando parole di pace. Non è la prima volta che Grossman si esprime apertamente insieme a molti altri intellettuali per la fine del conflitto continuo con i palestinesi e per la promozione di una cooperazione equa con la parte avversa. Che non va più considerata tale, “nonostante tutto”, anche valutando e mettendo sul piatto doloroso degli avvenimenti tragici la morte delle persone care, come qualche anno fa quella del figlio Uri, giovanissimo, di vent’anni, centrato da un missile lanciato dagli Hezbollah contro il suo carro armato. Come le tante morti cruciali che hanno insanguinato la striscia di Gaza causate dai raids della aviazione israeliana. “Non lasciamo che siano gli estremisti nazionalisti e i razzisti a stabilire le leggi!” si infiamma Grossman. Da entrambe le parti. “Perché – è il suo ragionamento – la vera lotta non è tra arabi ed ebrei, ma fra quanti – da una parte e dall’altra – aspirano a vivere in pace e a costruire una convivenza pacifica e collaborativa e quanti soffiano sul fuoco dell’odio e della violenza. Perciò non lasciamo che vincano le forze distruttive ma facciamo in modo si rafforzino le componenti sane delle due società, di quelli che si rifiutano di diventare collaborazionisti della disperazione.” Quella di Gaza e di Ashkelon, vissuta dai bambini, vittime innocenti di un gioco al massacro che non vede mai la fine. A loro innanzitutto chiede scusa Grossman perché “noi grandi” non siamo finora stati capaci di creare le condizioni per una società giusta e collaborativa e assicurarvi un futuro sereno, che non sia quello funestato dalle sirene degli allarmi e dal sibilo funesto dei razzi e dal fragore distruttivo dei bombardamenti. La guerra è p?nos, come dicevano i greci, fatica unita a morte e pianti e lutti, da una parte e dall’altra della barricata. Aspettando un cenno dai potenti e dall’ONU che a fatica si interpone, sempre troppo tardi. Ecco perché occorre isolare gli estremisti del conflitto. Non esistono ragioni lecite e legittime per distruggere un altro popolo. E’ una convinzione elementare ma deve diventare programma di governo delle istituzioni traballanti palestinesi e israeliane. Seppure con tutto il suo carico di annientamento, paradossalmente è più facile continuare la guerra – sostiene Grossman -, che costruire la pace, tenere conto delle aspirazioni e delle ragioni degli altri, sapersene fare interpreti e giungere a nutrire un sentimento di amicizia verso coloro i quali sono stati da sempre considerati nemici da annientare. E si rivolge ai suoi: “Non crediate che l’aspetto militare della nostra potenza sarà alla lunga quello dominante, perché la spada che brandiamo è a doppio taglio. La nostra società è molto avanzata nella creatività, nella scienza, nell’inventiva e nella organizzazione sociale, perciò dobbiamo liberarci da questa macina pesante che frena il nostro sviluppo e la nostra civiltà e che arriverà a indebolirla inesorabilmente. Affidiamoci dunque e costruiamo insieme la strada della speranza, certo non facile, ardua, tortuosa, difficile. – egli continua - A volte può sembrare di smarrirci, ma non c’è altra possibilità perché, non solo arabi ed ebrei, ma noi popoli di tutto il mondo viviamo affidandoci gli uni agli altri, cercando la pace e la convivenza equa fra le nostre società che desiderano prosperare e non, incomprensibilmente, autodistruggersi.
Paolo Rausa