Marco Travaglio: «Il secolo dei leader è finito»

 

Il vicedirettore de “Il Fatto quotidiano” su questioni personali e politica italiana

Marco Travaglio, il giornalista più odiato e più amato d'Italia - vicedirettore de “Il Fatto quotidiano” e scrittore - terrore della Destra berlusconiana che lo querela in continuazione, coda di paglia della Sinistra degli inciuci, ha incontrato il pubblico milanese, nella nuova Feltrinelli Express della Stazione Centrale. Al centro dell’incontro, fatti e misfatti dell’attualità italiana. Lo abbiamo intervistato prima che iniziasse la conferenza.

Lei si definisce liberale da sempre, o meglio “liberal-montanelliano”. Cosa intende esattamente?
Liberale alla Montanelli vuol dire richiamare la Destra storica, riferirsi a Quintino Sella, a quella Destra risorgimentale, laica, con grande senso dello Stato, riformista, non reazionaria, ma sanamente conservatrice.

Montanelli ha definito Berlusconi “il macigno che paralizza la vita politica italiana”. Se Montanelli fosse qui, come lo definirebbe oggi?
Ribadirebbe la stessa frase e direbbe “Visto che avevo ragione? Io ve l’avevo detto quindici anni fa!”.

Nel suo libro “Ad personam”, fa riferimento al concetto di ‘privatizzazione della democrazia’. In che modo la democrazia è privatizzata?
Da quindici anni si approvano leggi non per il bene dei cittadini, ma per l’interesse particolare di una persona: di Berlusconi o dei suoi amici, della cricca, della casta politica che si aumenta i finanziamenti in violazione di un referendum, si aumenta i fondi per i giornali di partito. Insomma, si occupa di affari privati, anziché dell’interesse pubblico.

L’11 ottobre 2010 è stato condannato per diffamazione dal Tribunale di Marsala, per avere dato del “figlioccio di un boss” all'assessore regionale siciliano David Costa, arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e successivamente assolto in forma definitiva. A distanza di due mesi, a suo avviso, quella condanna l’ha meritata o no?
Non sono stato condannato per diffamazione. Ho perso una causa civile in primo grado, perché gli avvocati della Rai hanno pensato bene di non difendere né me, né Santoro in quella causa, hanno difeso la Rai e non ci hanno neanche avvertiti. Io non ho mai detto che questo signore è figlioccio di un mafioso, io ho detto che era stato arrestato per mafia – cosa assolutamente vera, purtroppo per lui – perché secondo i magistrati era il figlioccio di un boss mafioso. Se poi lo hanno assolto due anni dopo, io come facevo a saperlo? Io, quando è stato arrestato, ho detto semplicemente che era stato arrestato, ed è un fatto. Naturalmente, se avessi avuto una difesa, quel processo sarebbe finito diversamente. Non mi hanno difeso in primo grado, adesso nominerò un avvocato a mie spese e spero di vincere l’appello.

Il 23 settembre 2009 è uscito il primo numero del «Fatto Quotidiano», un giornale che si è caratterizzato subito per la sua libertà e indipendenza. Il bilancio di quest’anno?
Abbiamo fatto molti scoop e abbiamo dato molte notizie, che altri giornali invece non hanno dato. Abbiamo parlato di molti fatti, dei quali altri non possono parlare, perché dipendono dalla pubblicità, dagli editori, dalla politica, dai finanziamenti pubblici, che invece noi rifiutiamo. Noi non abbiamo editori, padroni, condizionamenti pubblicitari. Dovendo scegliere fra criticare l’Enel e perdere il suo contratto pubblicitario abbiamo preferito la prima opzione. La gente ha apprezzato. Noi speravamo di vendere ventimila copie, ne vendiamo cinque volte tanto, forse anche sei in certi giorni. Visto che siamo quattro gatti, siamo molto contenti, è un giornale che ha un profitto, credo sia uno dei pochissimi giornali in Europa che non perde copie, anzi ne guadagna.

Dopo le rivelazioni di Ciancimino, Spatuzza e non solo, la politica è pronta a fronteggiare altre ondate di verità?
La politica non è pronta per nulla, è impreparata perché vecchia, decrepita, sorpassata, legata al millennio scorso. Figuriamoci se è pronta a fare i conti con i segreti che stanno alla base della nascita della Seconda Repubblica: le stragi, le trattative Stato-mafia o i retroscena della nostra politica internazionale, gli affari privati del Presidente del Consiglio. Sia il Centrodestra, sia il Centrosinistra non si sono concentrati su questi fronti, ma sulle scemenze.

Nelle mani di chi metterebbe l’Italia?
Ci vorrebbe una persona seria, possibilmente non più che cinquantenne, meglio se quarantenne - io sono già vecchio da questo punto di vista - competente, non necessariamente un leader. Il secolo dei leader è finito, abbiamo bisogno di una persona seria che amministri e risolva le questioni. Anche noiosa, che non scalda i cuori, che non faccia innamorare. L’idea che bisogna innamorarsi dei politici è una follia, è una follia quando lo dice Berlusconi, è una follia quando Vendola parla di “comizi d’amore”. L’amore e la politica devono essere separati. La politica deve risolvere i problemi, non far innamorare la gente.

Elisa Giacalone

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