Vergarolla, 110 vittime sopratutto bambini: la prima e la più sanguinosa strage terroristica nella storia della Repubblica, dimenticata da 76 anni

Mai un presidente della Repubblica su quella spiaggia, mai una pagina sui libri di scuola. Tarticchio a Mattarella: perché l'Italia non commemora le vittime di Vergarolla?

Il farmacista Antonio Rodinis fotografò il tragico

Il farmacista Antonio Rodinis fotografò il tragico "fungo" dell'attentato

Più di Piazza Fontana, più della Stazione di Bologna

Vergarolla, 18 agosto 1946. Una strage dimenticata, insabbiata, nascosta, e ancora oggi non celebrata dallo Stato. «Si era in tempo di pace, la guerra era finita un anno e mezzo prima, la Repubblica Italiana era nata da due mesi e mezzo: quella di Vergarolla è dunque la prima e la più sanguinosa strage terroristica nella storia della Repubblica,  più di Piazza Fontana, più della Stazione di Bologna... Ma fu subito insabbiata e per quasi settant’anni coperta da una congiura del silenzio, in attesa che il tempo eliminasse via via i testimoni e cancellasse ogni ricordo», con queste parole il 14 agosto 2016, Lucia Bellaspiga sul quotidiano “Avvenire” , iniziava l’articolo che riportava alcune testimonianze dirette che facevano luce sui mandanti della strage.

Fra i contributi utili ad inquadrare storicamente il contesto, riportiamo quello della scrittrice e poetessa istriana Ester Sardoz Barlessi scomparsa nel 2017, scriveva in un articolo intitolato “Vergarolla per non dimenticare” :
Pola è ancora terra italiana il 18 agosto 1946, oggi come allora è domenica, giorno di festa. Da metà giugno la popolazione viveva giorni un po’ più sereni, gli alleati avevano imposto alle truppe titine di lasciare la città, ora presidiata militarmente dagli angloamericani. Non più atti intimidatori, non più pestaggi per le strade, non più prelevamenti e sparizioni notturne degli italiani. Sulla spiaggia di Vergarolla dentro il porto di Pola, almeno 2.000 polesani gremivano l’arenile per assistere alle gare di nuoto della "Coppa Scarioni". Poco lontano ventotto mine di profondità sono accatastate sulla spiaggia, quasi 10 tonnellate di tritolo, già disattivate e disinnescate da tre squadre di artificieri inglesi e italiani, scoppiarono improvvisamente. Il boato si udì in tutta la città e da chilometri di distanza. L’enorme deflagrazione causa almeno centodieci morti (109 italiani e 1 inglese), sessantaquattro identificati, per molti altri fu impossibile ricomporre i poveri resti, letteralmente disintegrati dall’esplosione, imprecisato il numero dei feriti, fra le vittime molte donne e bambini, essendo presenti centinaia di famiglie. L'ospedale cittadino "Santorio Santorio" divenne il luogo principale della raccolta dei feriti: nell'opera di assistenza medica si distinse in particolar modo il dottor Geppino Micheletti, che nonostante avesse perso nell'esplosione i figli Carlo e Renzo di 9 e 6 anni, il fratello e la cognata, per due giorni non lasciò il suo posto di lavoro.
Quella di Vergarolla è dunque la prima e la più sanguinosa strage terroristica nella storia della Repubblica, più orribile di Piazza Fontana, più orribile della Stazione di Bologna. L'indagine alleata stabilì che per esplodere quegli ordigni avrebbero dovuto essere nuovamente riattivati e poi innescati, quindi in nessun modo si trattò di un incidente ma di un vero e proprio attentato, indizi "gravi e concordanti" additavano l'OZNA, la polizia politica jugoslava di Tito, come responsabile dell'attentato, nessun tribunale ha mai stabilito ufficialmente che cosa fosse successo, ma in tempi recenti l’apertura degli archivi inglesi di Kew Gardens (Foreign Office) ha permesso di mettere in chiaro la verità, con i nomi degli esecutori materiali.
La decisione collettiva dell'esodo qualora la città fosse stata abbandonata agli Jugoslavi era già stata manifestata prima dello scoppio, il 15 agosto festa dell’Assunta, in migliaia avevano riempito l’Arena di Pola e le strade adiacenti cantando “Va Pensiero” sventolando il tricolore. La decisione finale a Parigi non era ancora definita e i Polesani non avevano abbandonato la speranza di evitare un'occupazione straniera, tuttavia la strage convinse anche gli indecisi, qualora fossero rimasti in città che, in caso di passaggio alla Jugoslavia, la loro vita avrebbe corso un serio pericolo. L’esodo in massa coinvolse il 92 per cento degli abitanti. Dal resto dell’Istria sotto occupazione titina, migliaia d’italiani cercavano rifugio verso Pola e Trieste, al termine dell’Esodo lasciarono la terra dei loro padri in 350.000. Il delfino di Tito Milovan Gilas, poi caduto in disgrazia, in un’intervista rilasciata al quindicinale fiumano Panorama (21 luglio 1991) dichiarò: «Nel 1946 io ed Edward Kardelj andammo in Istria a organizzare la propaganda anti-italiana... bisognava indurre gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo. Così fu fatto.» Il termine “pulizia etnica” non era stato ancora coniato. Vergarolla segnò la fine di Pola e l’inizio dell’esodo, ma fu anche la prova generale della guerra fredda a livello internazionale e dello stragismo d’Italia nei decenni a venire. Tito, dittatore comunista ma avversario di Stalin, andava blandito e così l’Occidente (Italia compresa) archiviò la mattanza. Solo nel 1997, grazie all'interessamento della piccola comunità italiana rimasta a Pola, venne collocato un cippo nel parco del Duomo, con la laconica iscrizione Vergarola - 18.08.1946 - 13 h. - Grad Pula - 1997 - Città di Pola.
18 agosto . Quel 18 agosto. E de le nostre parti el vol dir VERGAROLA.

Con l’apertura degli archivi segreti Londra, Washington, Zagabria, Roma e Belgrado si è giunti ad accertare che dietro l’eccidio di italiani ci fossero il maresciallo Tito e l’OZNA la polizia segreta jugoslava. Ma a svelare le complicità italiane e i retroscena della vicenda ci ha pensato Lucia Bellaspiga che sempre nello steso articolo pubblicato da Avvenire il 14 agosto 2016 rivela la testimonianza di Claudio Perucich, partito  per l’Australia da Pola a sette anni nel 1949, due anni dopo il massiccio esodo di italiani che nel 1947 svuotò la città lasciandola agli jugoslavi. 
«Ho molte memorie vive di quei tre anni passati sotto l’oppressivo regime jugoslavo, ma il più dei ricordi è basato su ciò che mia madre non ha mai smesso di confidarmi per tutta la vita – racconta Claudio Perucich -. In particolare la storia di suo fratello, mio zio Antonio Riboni, morto a 33 anni perché non sopportava più il peso della coscienza. Una morte da cui mia madre  non si è mai ripresa, come non si riprese mai dall’odiosa permanenza di mio padre in un lager titino nel ’48 e ’49, che poi ne causò la prematura scomparsa a soli 54 anni...».  Antonio Riboni era di ideali socialisti, «era anche lui membro di quella gerarchia», ma non per questo disposto a tradire l’Italia e caldeggiare l’annessione di Pola, dell’Istria e della Dalmazia alla Jugoslavia, come invece altri italiani obbedienti a Togliatti. «Quel 18 agosto 1946 anche zio Antonio era a Vergarolla con amici per una nuotata, aveva 31 anni e per due anni era stato con i partigiani. Sorpreso di vedere tanta folla seduta attorno a quelle mine, suggerì agli amici di allontanarsi da lì, salvando loro la vita. Mio zio conosceva gran parte delle persone rimaste uccise quel giorno, era tutta gente nostra e questo lo devastò dentro. Voleva sapere, voleva capire chi era stato e iniziò a indagare nei suoi ambienti, essendo lui connesso al comando filo titino di Pola». Proprio per questi suoi legami, e per aver suggerito agli amici di allontanarsi dagli ordigni, nonostante tutti sapessero che erano stati disinnescati e più volte controllati dagli artificieri anglo-americani, lui stesso entrò nella lista dei sospetti del governo militare alleato, che  subito aveva aperto un’inchiesta. Ma Antonio Riboni non si diede per vinto e di nascosto dai compagni di partito continuò a indagare, finché ottenne la verità che cercava «e quello che seppe lo lasciò distrutto», riferisce il nipote. «Si sentiva in parte responsabile per la miserabile   sorte della sua Pola e per quegli orrendi eventi. Aveva perso la voglia di vivere...». Un anno dopo non resse più. «Prima di morire, però, rivelò tutto a mia madre, ammonendola di non riferire a nessuno ciò che aveva scoperto, pena minacce di morte per tutta la famiglia, anche se quei suoi compagni di ideologia erano stati suoi amici fin dai tempi della scuola». Come non bastasse, proprio lui che aveva sempre avuto un cuore socialista veniva ora marchiato come “fascista” «dal nuovo comando di Pola, che loro chiamavano Pula, in quanto italiano».  Laggiù a Melbourne Perucich non dimentica nulla, la sua casa è un forziere di foto, libri, cimeli. «Mia madre era l’enciclopedia di storia della famiglia, la voce di tanti racconti tra i polesani che qui, esuli e lontani da casa, si riunivano. Non voleva che la verità andasse perduta... Ora io, dopo settant’anni di schiaffi e tre parenti morti perseguitati o di disperazione, sciolgo il peso portato tutta la vita sulle spalle. Anche se fa amarezza che l’Italia in questi settant’anni non abbia mai mostrato interesse per questa tragedia nazionale né abbia voluto sapere».

Piero Tarticchio, esule istriano, professore artista e scrittore ricorda così quel giorno:
«18/8/1946 – 18/8/2021 – 76 anni di lacrime per Vergarolla. Una strage, un massacro scomodo, un eccidio dimenticato o ancor peggio taciuto dallo Stato Italiano, avvenuto il 18 agosto 1946 nelle prime ore del pomeriggio nella parte terminale del porto di Pola. Morirono 110 persone, soprattutto bambini, dilaniati dall’esplosione di 9 tonnellate di tritolo contenuto in 28 ordigni subacquei accatastati sulla riva e resi inerti poiché privati dei detonatori. Un boato assordante, poi il mare diventò rosso di sangue. I soccorritori videro i gabbiani banchettare con i resti umani che galleggiavano sull’acqua. Poiché fu subito nota la mano criminale responsabile della stage, una voce scosse le coscienze dell’intera popolazione di Pola. Una voce sinistra che diceva:“Italiani dovete andarvene!”. E ebbe inizio l’esodo. Ma tutto questo gli italiani non lo sanno».
Poi Tarticchio rivolge una domanda al Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella: «Perché l'Italia non commemora le vittime di Vergarolla?».

Giulio Carnevale