Anno 2012: la ricerca della protesta perduta

Solitamente, si protesta quando si è in disaccordo su qualcosa. Se una parte di società scende in piazza, lo fa per un motivo. O per lo meno dovrebbe.

Nei subbugli che hanno animato le strade d'Europa è emersa una tensione collettiva che forse non è frutto soltanto della congiuntura economica sfavorevole. È ovvio che qualcosa non funziona; è sotto gli occhi di tutti, eppure ancora nessuno riesce a capire esattamente in quale direzione andare. L'impressione è di essere centrifugati in un oscuro e misterioso sistema che assomiglia sempre di più alla realtà di Matrix: la si guarda, la si tocca, la si respira, eppure non la si riesce a governare.
C'è chi scende in piazza perchè la sua azienda sta chiudendo, altri perchè sono schifati dalla politica, altri ancora perchè hanno lavorato una vita e ora si chiedono: per cosa? Ci sono gli studenti che occupano i licei così come noi li abbiamo occupati negli anni Novanta e quelli prima di noi negli anni Settanta. Ma il senso della protesta ancora sfugge: per cosa? 
Protestare è prima di tutto un gesto di rivalsa individualistica: non sto bene nel sistema e voglio che il sistema cambi. Oppure, meglio ancora: io voglio cambiare. Per fare questo occorre avere una prospettiva di scelta, un percorso da seguire, per lo meno a livello ideale o immaginario. 
La ribellione è il sale della libertà umana, oltre che della democrazia. Ma per essere reale e appagante, deve perseguire un obiettivo: la sostituzione di un sistema con un altro. Assieme alla distruzione, ci deve essere la costruzione. Le proteste del 2012, invece, mostrano scarsa capacità sia dell'uno che dell'altro impulso. Il sistema non si può distruggere perchè ci ha troppo viziati e impigriti. Ci ha reso poveri, e non nel senso economico del termine. Rivendicare un valore che non sia qualcosa di legato al denaro sembra la vera utopia dei nostri giorni: anche in questo il capitalismo ci ha stregati, rendendoci incapaci di guardare oltre. Costruire una nuova realtà, del resto, appare un'impresa ancora più impegnativa: come si fa? Da dove si parte? Non sarà rischioso? 
L'augurio da inviare ai ragazzi che oggi protestano è quello di non ripetere gli errori che sono stati nostri, nel passato più o meno recente: non ricorrere mai alla violenza ma al tempo stesso non accontentarsi del sabato pomeriggio in piazza per poi mettere le foto su Facebook e tornare a giocare col telefonino. E di dare un seguito alla loro ribellione.
Davide Zanardi