Cassazione, mobbing: datore di lavoro e diretti superiori risarciscono il dipendente se abusano delle funzioni
Stop alle vessazioni e alle pesanti pressioni psicologiche subite dal dipendente. Il lavoratore può denunciare il datore di lavoro, il capo, o i colleghi per mobbing se ha subito una serie ripetuta di condotte illecite che hanno leso la sua dignità

Foto esemplicativa
29 ottobre 2021
Stop alle vessazioni e alle pesanti pressioni psicologiche subite dal
dipendente. Il lavoratore può denunciare il datore di lavoro, il capo, o
i colleghi per mobbing se ha subito una serie ripetuta di condotte
illecite che hanno leso la sua dignità. L’ordinanza 30583/21, pubblicata
il 28 ottobre dalla sezione lavoro della Cassazione, ha stabilito che
scatta il danno da mobbing quando il lavoratore è vittima di continue
insolenze, comportamenti morbosi e offese gratuite, anche davanti agli
altri. E il bello è che a pagarlo, oltre all’azienda, sono condannati
anche i dirigenti: il diretto superiore, responsabile della condotta
persecutoria, e il coordinatore di zona, che la tollera. Solidale la
responsabilità anche se il datore risponde a titolo contrattuale mentre i
colleghi a titolo extracontrattuale. Decisiva la Ctu: il medico legale
certifica che il trattamento subito dal dipendente è una concausa del
danno psichico lamentato. È una storia di mobbing tutto al femminile
quella finita all’attenzione della Suprema corte: diventa definitiva la
condanna che fissa circa 35 mila euro la somma da pagare alla
lavoratrice, finita fra le “grinfie” della sua “capa”, mentre la
coordinatrice di area prima non si attiva e quando si decide lo fa in
danno della lavoratrice; costretta a subire condotte che, se in astratto
rientrano tra le facoltà del datore, in concreto costituiscono un
abuso: sono infatti caratterizzate da atteggiamenti sgarbati e
indebitamenti plateali, in spregio di una equilibrata utilizzazione del
lavoro altrui. Insomma: deve ritenersi raggiunta la prova presuntiva
dell’elemento soggettivo del mobbing. Nell’ordinanza, di cui ha scritto
il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”,
gli “ermellini” spiegano che è inutile dolersi che non sarebbe stata
valutata la pregressa condizione psichica della malattia: la Ctu
medico-legale ha chiarito che il ruolo della condotta illecita è stato
«concausale» della malattia. Quanto alla responsabilità solidale, quando
un danno di cui si chiede il risarcimento è determinato da più
soggetti, ciascuno dei quali con la propria condotta contribuisce alla
produzione dell’evento pregiudizievole, si configura una responsabilità
solidale ai sensi dell’articolo 1294 Cc fra tutti costoro, qualunque sia
il titolo per il quale ciascuno di loro è chiamato a rispondere, dal
momento che, sia in tema di responsabilità contrattuale che
extracontrattuale, se un unico evento dannoso è ricollegabile
eziologicamente a più persone, è sufficiente, ai fini della
responsabilità solidale, che tutte le singole azioni o omissioni abbiano
concorso in modo efficiente a produrlo, alla luce dei principi che
regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti
nella produzione dei danni (patrimoniali e non) da risarcire.
29 ottobre 2021