Elisabetta Cipollone, mamma di Andrea De Nando, esprime la sua vicinanza alla famiglia di Andrea Di Gennaro

Gentile redazione,
ho appreso con sgomento la notizia della prematura scomparsa del giovane Andrea Di Gennaro e, con tutta la mia famiglia, abbiamo partecipato all’ultimo saluto.

È stato per me oltremodo doloroso rivivere quei momenti, in quella stessa chiesa ove abbiamo salutato, poco meno di due anni fa, mio figlio per l’ultima volta.
Non conoscevo il giovane e neppure la sua mamma, ma mi sono resa conto di conoscere seppur solo di vista il suo papà: abitavamo nella stessa zona a Milano e ricordo di averlo visto innumerevoli volte. L’ho riconosciuto immediatamente ed immediatamente ho pensato a quale triste, terribile destino ha accomunato le nostre esistenze…
Ma mi creda, la cosa più terrificante è stata quella di udire disgustose considerazioni e chiacchiericci sulla condotta di quel giovane ragazzo che, nonostante tutto, nonostante la morte, sono girate per il paese.
Trovo che ci sia una cattiveria gratuita nelle persone, magari proveniente da quelle stesse persone che mai hanno espresso una parola sulla condotta morale dell’omicida di mio figlio e della sua gentilissima famiglia tutta, i quali a distanza di quasi due anni non hanno avuto il coraggio civile, umano di un solo e dico di un solo gesto di  scuse o di richiesta di perdono.
Perché la verità è proprio questa: nessuno ma dico assolutamente nessuno di quella famiglia ha mai fatto un gesto di avvicinamento
Anzi, ho saputo che la di lui moglie va in giro a dire che io le sto rendendo la vita un inferno, per il mio impegno e le mie esternazioni in favore delle vittime della strada. Vuole per caso la signora egregissima fare cambio con l’inferno che si vive nella nostra famiglia dove ogni equilibrio, ogni singolo attimo di felicità è stato dilaniato e squarciato da un evento che, con il rispetto delle più elementari regole del codice della strada, e con una condotta di guida  non scellerata, si sarebbe potuto evitare?
Già due giudici in due gradi di giudizio differenti hanno confermato una condanna che, purtroppo, per colpa di leggi che non agiscono da deterrente e grazie al rito abbreviato del quale il signor omicida si è avvalso e che ha ridotto di un terzo la pena, si è rivelata mite: tre anni e otto mesi (pena mai scontata perché il carcere, qualora dovesse  arrivare, arriverà quando tutti i gradi di giudizio saranno terminati).
Per ciò che concerne la patente egli guida ancora (attenzione quindi, sta percorrendo ancora le nostre strade) e la vettura è stata riparata e continua ad essere in uso alla signora moglie (come si faccia solo ad entrarci in una macchina che ha ucciso un ragazzo non riesco proprio a capirlo), ma già, come rinunciarci visto che la macchina era nuova e bella ed anche veloce vista l’alta cilindrata? E nonostante tutto continua questo strazio, poiché l’imputato, pensando che tre anni e otto mesi fossero  eccessivi per la vita di un ragazzo, è ricorso in appello, notizia questa fresca di ieri con notifica effettuata al mio avvocato, con lo scopo di una riduzione di pena ulteriore (dichiarazioni della difesa).
Ricordo a tutti che al signor C.A. la sera dell’omicidio, perché tale è e dobbiamo cominciare a chiamare le cose con il proprio nome, gli sono stati prospettati fino a otto anni di reclusione.
Basta infatti che la pena al momento inflitta si riduca di soli otto mesi ed arrivi a tre anni, che il signor C.A. (vede come sono educata, continuo a chiamarlo C.A. mentre potrei diffondere il nome poiché trattasi di sentenza pubblica) non varcherà mai per un solo istante le porte delle patrie galere, bensì sarà affidato in prova ai servizi sociali che, detto in parole povere, vorrà dire per lui continuare a lavorare e a svolgere tutte le sue normali attività, continuerà a soggiornare in casa sua, con obbligo di rispettare solo determinati orari di uscita mattutini e di rientro serale… Insomma, se dovessero ridurre la pena, assisteremmo ad una sorta di “Cenerentolo” che deve tornare a casa entro un certo orario, tutto qui. Una vergogna tutta e solo italiana…
E intanto mio figlio non c’è più, e intanto noi ci stiamo ammalando, e intanto la nostra vita, quella delle nonne, quella degli zii è finita. 
Perché perdere un figlio è seppellire con lui un pezzo del nostro cuore, perché perdere un figlio, in qualsiasi circostanza e per qualsiasi motivo equivale alla tua stessa morte perché, sì, respiri, cammini, magari a volte riesci anche a sorridere, a volte sì, sorridi e quel dolore a tratti sembra non farti più male e sapete perché? Perché quel dolore ha già fatto tutto ciò che poteva fare… Quel dolore ti ha già ucciso. 
Quindi ora, come direttrice del dipartimento tematico vittime della strada, di un movimento civico a difesa della vita, come donna impegnata nel civile e nel sociale, ma soprattutto in primis come mamma, a nome mio e della mia famiglia, vi prego di far pervenire alla famiglia Di Gennaro il nostro abbraccio solidale, affettuoso e addolorato per questa ulteriore perdita di una vita così giovane.
 
Elisabetta Cipollone, mamma di Andrea De Nando, morto ammazzato il 29/01/2011