Bullismo: parlarne, parlarne e parlarne

Il crescente verificarsi di atti di bullismo e il modo in cui, spesso, il fenomeno viene trattato dai mass media, non dà la giusta connotazione al problema. Da anni se ne parla nelle scuole, ma solo in teoria, non vengono fatti progetti di alleanza con i genitori e con il contesto. Si preferisce cercare le colpe.

Per esempio è errato pensare che il bullismo faccia parte della crescita, o ritenere che si tratti di ragazzate, oppure che si verifichi soprattutto nei ceti bassi, in condizioni di povertà e arretratezza o, addirittura, colpevolizzando la vittima per la sua incapacità di difendersi.
È importante, invece, riconoscere il fenomeno in tutta la sua gravità e pericolosità, prima di tutto per dare un sostegno alle vittime, che vivono situazioni di disagio e sofferenza, ma anche per intervenire nel modo giusto sui prevaricatori, che oltre esprimere, con il loro comportamento, un disagio, rischiano di intraprendere percorsi delinquenziali.
Si calcola si aggirino attorno al 25,2% le forme di bullismo basate sulla diffusione di informazioni false o cattive, al 22,8% le provocazioni e le prese in giro ripetute, il 21,6% l’essere ripetutamente oggetto di offese immotivate. Sono i dati emersi dall’indagine nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza, pubblicata nel 2011, che tra l’altro sottolinea che il 10,4% degli intervistati ha confessato di subire costantemente esclusione e isolamento dal gruppo.
L’indagine dimostra inoltre che le forme di bullismo verbale e relazionale sono molto più diffuse rispetto a quelle fisiche; che le ragazze, rispetto i ragazzi, sono più portate a diffondere informazioni false o cattive; che la pratica del bullismo diminuisce con il crescere dell’età.
Ma in cosa consiste questo comportamento?
Questa “pratica” si verifica soprattutto in ambito scolastico e può implicare atti di violenza fisica, con percosse e aggressioni; psicologica, con minacce, offese e umiliazioni; verbale, con prese in giro e parolacce. Esiste anche una forma di bullismo indiretta che tende a impedire le relazioni con i compagni attraverso pettegolezzi e calunnie. Un’altra forma, anche più forte, è quella di sottoporre la vittima a rituali o ad attività pericolose. Molto in voga, inoltre, è il cyberbullismo, in questo caso il bullo invia alla vittima messaggi offensivi tramite sms e chat oppure pubblica foto o filmati che la ritraggono in situazioni particolari, mirate a danneggiarla.
Secondo l’indagine del 2011 un quinto dei ragazzi ha trovato in internet informazioni false sul proprio conto: raramente (12,9%), qualche volta (5,6%), spesso (1,5%). Meno frequenti sono i casi di messaggi, foto o video dai contenuti offensivi che sono stati ricevuti dal 4,3% del campione.
Le motivazioni che scatenano il fenomeno del bullismo sono le più diverse, vanno dalle discriminazioni di genere a quelle religiose ed etniche, e hanno lo scopo di allontanare ed emarginare la vittima dal gruppo.
I maschi sono maggiormente inclini al bullismo attivo, con un approccio aggressivo, le femmine a quello passivo, con pettegolezzi e “mormorazioni”. L’età va dai 14 ai 18 anni ma recentemente si sono riscontrati casi anche sotto gli undici anni.
Ma perché un ragazzo diventa bullo e chi sono gli attori di questo fenomeno? Le ricerche hanno dimostrato che spesso il bullo nutre sentimenti di invidia e di risentimento, soffre di forme narcisistiche e ha carenza di autostima; quasi sempre è stato a sua volta vittima di bullismo. La vittima solitamente è introversa, timida, spesso portatrice di handicap, oppure è straniera, segue una religione diversa o ha tendenze omosessuali.
Le conseguenze del bullismo possono essere molto gravi, nel corso degli anni si sono verificati casi di suicidio: risulta che circa 15-25 giovani ogni anno tentano il suicidio perché vittime di bullismo.
Come va affrontato il problema?
Tra i vari interventi sulla prevenzione del bullismo la Commissione Europea ha messo in atto il progetto E-ABC (Europe Anti-Bullying-Project) all’interno del quale i vari Paesi operano con una propria organizzazione. A livello personale, invece, raccomandano gli esperti, bisogna parlarne, i famigliari a casa e gli insegnanti a scuola. Denunciare i casi, far emergere il problema. Spesso, per paura, le vittime tacciono ma danno segnali di disagio che i famigliari e il personale scolastico devono saper cogliere. Altrettanto spesso i genitori dei bulli sottovalutano il problema, connotandolo come una ragazzata. Non capiscono che solo riconoscendo l’errore del ragazzo possono aiutarlo. La denuncia infatti è l’arma più efficace per perseguitati e per persecutori.
Vanda Loda
(Altri articoli dedicati ai bambini su: blogdeinonni.org)