A proposito di “nativi digitali” e “touch-screen generation”: la tecnologia a scuola sarà davvero un bene per i bambini?

È molto acceso il dibattito sull’uso delle nuove tecnologie da parte di bambini e adolescenti. Dopo che si è parlato a lungo di “nativi digitali”, una generazione cresciuta in aria di computer, internet, MP3, cellulari eccetera, ora si parla di “touch-screen generation”, ovvero l’uso delle mani per sfogliare libri elettronici e ingrandire, allargare, restringere con un semplice tocco di pollice e indice le foto digitali.

Molte aziende hanno cavalcato la tigre, mettendo a punto giochi touch-screen destinati ai più piccoli; le scuole (anche elementari) hanno inserito lavagne e postazioni pc dove gli alunni possono compiere percorsi di apprendimento e prendere dimestichezza con il mezzo. 
Nel sito della Central Elementary School di Escondido (California) si scopre per esempio che l’iPod Touch ha trasformato il metodo di insegnamento e che gli alunni di quarta lo usano per studiare ottenendo risultati eccellenti.
Di questa tendenza ne parla da anni il filosofo Umberto Galimberti convinto della necessità di fare una riflessione e assumere un atteggiamento critico, chiedendosi per esempio quali problemi vengono risolti introducendo strumenti elettronici nella scuola, quali problemi possono crearsi, che cosa si perde quando si adotta una nuova tecnologia e cosa si trova, quali aspetti preziosi della realtà rischiano di essere completamente trascurati. Domande importanti, che tutte le persone che a vari livelli operano con bambini e ragazzi dovrebbero farsi prima di intraprendere nuovi percorsi.
Di questa tendenza ne ha parlato anche Francesco Semprini in un recente articolo su La Stampa dove analizza il fenomeno con testimonianze anche da brivido come il fatto che durante un convegno sull’uso del touch-screen, svoltosi a Monterey, in California, è stata riportata una frase di Maria Montessori “Le mani sono lo strumento dell’intelligenza umana” equiparando l’uso del touch-screen al suo concetto pedagogico di “affondare le mani nella sabbia o nei colori, e disegnare con le dita forme e paesaggi”.
E un’altra riflessione andrebbe fatta sul progetto che vorrebbe mandare in soffitta i libri scolastici a favore delle attrezzature tecnologiche; per assurdo si scopre che gli unici a non essere d’accordo sono gli editori che inquadrano il problema solo da un punto di vista economico: quanto spenderanno di più le famiglie e, di conseguenza, quanto guadagneranno meno loro?
Non che la tecnologia debba essere messa all’indice, anzi, ha portato straordinari vantaggi al nostro vivere quotidiano, basta pensare alla rapidità di trasmissione delle comunicazioni e delle informazioni, ai miracoli nell’ambito medico eccetera, ma non va sottovalutato l’uso spasmodico e precoce che viene fatto di questi mezzi.
È importante la conoscenza dei processi basilari; per esempio, è fondamentale che i bambini imparino le tabelline e sappiano risolvere le operazioni aritmetiche, quindi niente calcolatrice a scuola, è importante che prima di leggere le ore sull’orologio digitale imparino a leggerle su quello analogico eccetera. 
Il rischio è che i bambini avvicinandosi a quelle che sono le basi dell’apprendimento con queste tecnologie (più comode, divertenti, immediate e per loro di facile approccio) arrivino a sviluppare alte competenze senza conoscere i passaggi necessari per arrivare al risultato.
Inoltre, è noto che l’uso indiscriminato di questi mezzi può arrecare gravi danni alla crescita, e mi riferisco ai gridi di allarme lanciati da tanti psicologi e psichiatri che parlano di dipendenza, depressione, isolamento, estraniazione dalla realtà fisica a favore di quella virtuale. Una realtà che spesso abbiamo sotto gli occhi è il classico gruppetto di ragazzini, seduti da qualche parte, ognuno con la testa bassa, gli occhi fissi al cellulare ed entrambi i pollici impegnati nella digitazione. Insieme, dunque, ma isolati. 
Mi sono stupita quando un educatore, parlando della scuola in cui lavora, ha criticato il sistema adottato dall’istituto che, avendo poche postazioni, invece di organizzare una rotazione tra tutti gli alunni, ha destinato le lavagne informatiche solo ad alcune classi, escludendo le altre. Chi può dire, tra i due gruppi, chi è il più avvantaggiato?
Vanda Loda
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