La leggenda di Tarantasio: il drago che terrorizzò la Lombardia dal Lago Gerundo

Tra mito e realtà, la storia di un mostro spaventoso che seminò il terrore nella Lombardia medievale e ispirò generazioni con il suo ricordo.

Il lago Gerundo

Nel cuore del Medioevo, in un'epoca dominata da castelli e cavalieri, si ergeva un vasto specchio d'acqua, o meglio, una palude maleodorante in cui si riversavano i fiumi Adda e Brembo, collegando le terre di Milano e Bergamo. Questo era il Lago Gerundo, una vasta distesa acquatica che si estendeva fino alle terre cremonesi, lambendo numerosi paesi e province. Menzionato per la prima volta nell'epoca romana da autori come Plinio il Vecchio, il lago divenne famoso nel Medioevo grazie agli storici del VII secolo che ne narrarono l'esistenza.

Il drago

Dopo la morte del vescovo di Milano, Ambrogio, il lago divenne teatro di un evento terrificante: l'apparizione di un drago che iniziò a minacciare la Lombardia, divorando chiunque avesse l'ardire di avventurarsi oltre le mura cittadine.
Si racconta che questo mostro, nato dai resti del condottiero Ezzelino da Romano, fosse una creatura colossale, dotata di ali, sei zampe munite di artigli affilati, una lunga coda che si avvolgeva su se stessa, e fauci piene di denti taglienti. La sua pelle, spessa e verde come le acque stagnanti del lago, lo rendeva ancor più spaventoso. Ma ciò che più terrorizzava la popolazione era il suo alito pestilenziale, un fetore tale da diffondersi per chilometri, causando una misteriosa malattia che la gente chiamava la "Peste Gialla".

Tarantasio, il terrore degli abitanti

Il drago Tarantasio, come fu battezzato, trascorreva le giornate a distruggere le barche che cercavano di raggiungere la città di Crema, situata su un isolotto in mezzo al lago. Pochi erano i fortunati che riuscivano a scampare alla sua furia, e la popolazione viveva nel terrore costante di essere la prossima vittima, con i bambini particolarmente a rischio, attirati dalle sponde del lago per giocare.
Di fronte a tale minaccia, gli abitanti delle terre circostanti decisero che il drago doveva essere eliminato. Tuttavia, nonostante il coraggio di numerosi cavalieri delle province di Bergamo e Milano, nessuno osava affrontare la bestia. 

Uberto Visconti, intrepido cavaliere

Tra i primi chiamati a tentare l'impresa ci fu San Cristoforo, che propose di prosciugare le acque del Lago Gerundo per uccidere il drago, privandolo del suo habitat. Poi venne il turno di San Colombano, convocato dal Re Longobardo Agilulfo, e persino il temibile Federico Barbarossa provò a sconfiggere la creatura. Ma tutti fallirono.
La salvezza giunse infine per mano del nobile Uberto Visconti. Protetto da una pesante armatura e brandendo una lunga lancia, si avventurò verso le sponde del lago, pronto a confrontarsi con la terribile creatura. Nonostante l'odore insopportabile che infestava l'aria, Uberto avanzò senza esitazione. Mentre percorreva le rive del lago, vide finalmente il drago emergere dalle acque torbide, con la sua coda gigantesca che faceva ribollire la superficie del lago.
Uberto, con una calma determinazione, lanciò la sua lancia contro il mostro. L'arma colpì il drago al cuore, e un urlo lacerante si levò dalle fauci della bestia, seguito da una nube gialla che si alzò nell'aria. Tarantasio crollò, inghiottito dalle acque del lago che avevano a lungo nascosto la sua presenza. Con la morte del drago, Uberto tornò vittorioso tra i suoi compaesani, che inizialmente non credettero al racconto fino a quando il corpo del drago non fu recuperato dalle acque.

Nascita di una dinastia

Per commemorare la sua impresa, Uberto Visconti fece scolpire nello stemma della sua famiglia l'immagine del drago con le fauci spalancate mentre divorava un bambino, un simbolo destinato a rimanere nella memoria collettiva. La leggenda narra che la tomba del drago si trovi sull'isolotto Achilli, visibile vicino al ponte sull'Adda a Lodi. Fino al XVIII secolo, lo scheletro del drago era conservato presso la chiesa di Sant'Andrea a Lodi, con alcune delle sue costole ancora visibili oggi in diverse chiese della regione.

Al giorno d'oggi

L'epopea del drago del Lago Gerundo ha continuato a ispirare artisti nei secoli successivi, tra cui lo scultore Luigi Broggini, che si ispirò a Tarantasio per creare l'iconico cane a sei zampe, simbolo dell'Agip e, successivamente, dell'Eni.

Stefano Brigati
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