Il massacro di Prozor, il crimine di guerra più efferato di cui furono vittime militari italiani prima dell’armistizio dell’ 8 settembre 1943

Il 17 febbraio 1943, 771 soldati semplici, ufficiali, feriti e mutilati, disamati, arresisi dopo aver fatto il proprio dovere, assassinati dai partigiani comunisti sino all’ultimo uomo, senza pietà alcuna né rispetto per le consuetudini di guerra e le leggi internazionali, di cui il Regno di Jugoslavia era firmatario

A sinistra Milovan Gilas (1911 – 1995), responsabile del massacro di soldati italiani a Prozor nel febbraio 1943. A destra: Il colonnello Enrico Molteni, comandante del III Battaglione Murge, assassinato dai partigiani titini a Jablanica nell’aprile 1943 insieme a tutti i suoi uomini: 77i fra ufficiali e soldati italiani.

Prozor nei pressi di Sarajevo, è stato lo scenario di una delle più efferate atrocità commesse durante la Seconda Guerra Mondiale ai danni di militari italiani prima dell'armistizio dell'8 settembre 1943. Soldati semplici, ufficiali, feriti e mutilati, disertori, prigionieri di guerra che avevano compiuto il proprio dovere, sono stati lucidamente massacrati dagli partigiani comunisti senza alcuna compassione e senza rispetto per le leggi internazionali a cui il Regno di Jugoslavia era sottoscrittore.
La  154ª Divisione di fanteria di occupazione Murge  fu attaccata da cinque brigate partigiane che avevano oltrepassato il fiume per sfuggire all’inseguimento dei reparti dell’Asse e dei cetnici.
I Partigiani comunisti decisero di dirigersi verso la cittadina di Prozor, occupata dai soldati del III° Battaglione del 259° Murge, che avevano fortificato un loro presidio. Offrirono loro l'opportunità di arrendersi ma questa offerta fu rifiutata dai soldati italiani. I partigiani erano composti da circa cinquemila membri, divisi in cinque Brigate Proletarie d'Assalto, mentre gli italiani erano meno di ottocento.  La notte tra il 15 e 16 febbraio 1943, gli italiani respinsero con valore e disperazione il primo attacco di Prozor. Il secondo attacco, invece, avvenne nella notte tra il 16 e 17 febbraio e vide la vittoria della 5a Brigata d'assalto montenegrina, guidata dal suo comandante Sava Kova?evi?. Gli italiani avevano finito le munizioni, e così la città è stata conquistata dopo una feroce lotta all'arma bianca. I prigionieri catturati sono stati tutti massacrati. Milovan Gilas ha ordinato l'esecuzione dell'intero battaglione, come ha ricordato nelle sue memorie. In totale, 740 prigionieri sono stati uccisi a Prozor semplicemente perché avevano rifiutato di arrendersi al primo giorno dell'attacco.
Gli ufficiali dell'esercito italiano vennero catturati e portati alla foce della Neretva, dove sarebbero stati massacrati. Tale strage divenne possibile grazie alla delazione di un capitano triestino antifascista, Riccardo Illeni, che consegnò un elenco con i nomi di tutti gli ufficiali ai partigiani. Questa vicenda è stata descritta da Gino Bambara nell'opera La guerra di liberazione nazionale jugoslava (1941-1943). Successivamente, la figura del capitano Illeni è stata rievocata in un film di propaganda jugoslavo del 1969 intitolato La battaglia della Neretva, nel quale è interpretato da Franco Nero e presentato come un idealista di eccezione. Nell'evento storico in questione, anche il colonnello Molteni, comandante del III Battaglione, venne ucciso con un colpo di pistola alla nuca da Sava Kova?evi?, capo della formazione. I partigiani non erano riusciti a trovare un ufficiale della sussistenza, il cui nome era presente nel ruolino del presidio consegnato dal capitano Illeni ai guerriglieri. Pertanto, hanno annunciato che avrebbero fucilato venti soldati al suo posto. A quel punto, l'ufficiale si è consegnato spontaneamente e, nonostante questo, è stato fucilato insieme ai venti fanti. Il generale Mario Roatta, comandante della 2a Armata, ha scritto una relazione ufficiale sull'accaduto a Roma. Qui ha descritto l'uccisione di 21 ufficiali della divisione Murge, catturati in precedenza in combattimento, da parte di una formazione partigiana e l'uccisione del colonnello Molteni con un colpo di pistola da parte del capo della formazione stessa. Dopo che il presidio fu riconquistato, il cappellano del 259° Fanteria, padre Giuseppe de Canelli, scoprì le salme degli ufficiali, tra cui quella di Molteni che era stata squartata e sepolta in una fossa comune con alcuni soldati e i quadrupedi morti del presidio.  I numeri parlano chiaro: 771 morti, due volte i 335 morti delle Fosse Ardeatine, più dei 560 di Sant'Anna di Stazzema e quasi gli stessi 770 morti di Marzabotto. I tedeschi responsabili dell'eccidio furono processati, condannati e incarcerati, mentre i responsabili jugoslavi no. In Italia non c'è stato mai un interesse particolare su questo episodio, né saggi o memoriali dedicati o inchieste aperte, anche a causa dei taciti accordi tra Tito e la Repubblica italiana. È vero anche che alcune reazioni italiane (e dell’Asse) nei Balcani non sono state esenti da crimini di guerra, ma molte altre sono state perfettamente legittime secondo le leggi e le convenzioni dell'epoca. Ad esempio, la rappresaglia italiana più pesante in Jugoslavia, quella di Podhun (Piedicolle) del 12 luglio 1942 che causò 91 morti, fu portata a una ratio di 5 a 1 invece del consueto 10 a 1 per l'omicidio di due maestri elementari italiani e di 16 militari torturati e uccisi.
La vicenda di Prozor è una triste pagina della storia. Dopo la riconquista di questa località da parte delle forze italiane, non vennero eseguite rappresaglie: ciò in quanto le stragi erano state perpetrate da bande partigiane in fuga dall'offensiva congiunta italo-tedesca, e quindi le popolazioni locali non erano da considerare responsabili. Inoltre, applicare un rapporto di 10 a 1 (che prevede l'uccisione di 10 persone per ogni italiano morto) avrebbe voluto dire uccidere 7710 persone. Per i titini, che chiamavano gli italiani "nemico fascista", non sarebbe stato un problema ma, evidentemente, non era una soluzione accettabile per l'Italia.
Fonte: https://storiainrete.com