Tutto sul déjà vu, segno del paranormale o scherzo del cervello?

«Sono già stato in questo posto», «ho già conosciuto questa persona», «ho già pronunciato questa frase». A ognuno di noi è capitato almeno una volta nella vita di provare sensazioni del genere, anche se in realtà ci trovavamo in una città nuova o di fronte a una persona mai incontrata prima, oppure quella frase non l’avevamo mai pronunciata.

I francesi lo chiamano déjà vu, che letteralmente significa “già visto”, e indica proprio la sensazione di familiarità con una situazione che siamo certi di aver già vissuto. Nel corso dei secoli sono state formulate innumerevoli teorie destinate a chiarire un fenomeno che, a oggi, non ha ancora avuto una spiegazione pienamente soddisfacente. I primi a provarci furono addirittura i filosofi e matematici greci, fra cui Platone, Aristotele e Pitagora, che optarono per far rientrare il déjà vu all’interno della più ampia riflessione sulla reincarnazione. In quest’ottica, il fenomeno era spiegato come il ricordo di un evento vissuto in una vita precedente. Molti altri, come spesso accade, non hanno resistito al richiamo del paranormale e si sono lanciati in teorie più o meno bislacche che chiamano in gioco pseudo poteri quali telepatia, chiaroveggenza o medianità, ovvero la capacità di entrare in contatto con l’aldilà. Inutile dire che si tratta di ipotesi prive di ogni base scientifica, impossibili da provare e, quindi, da confermare o smentire. Dal canto suo, anche la scienza ci ha provato, dando vita a possibili spiegazioni differenti, alcune delle quali piuttosto convincenti.
Una delle prime è l’interpretazione psicoanalitica, secondo la quale il déjà vu è un ricordo vero che l’Io ha rimosso ma che riesce a riaffiorare comunque dalla nostra coscienza. Benché molto accreditata, questa teoria non riesce a spiegare l’aspetto “preveggente” del fenomeno, ovvero la sensazione (se di sensazione si tratta) di essere in grado di prevedere ciò che sta per accadere. Supera questo ostacolo la teoria conosciuta come paramnesia, ovvero “errore di memoria”, secondo cui il déjà vu altro non sarebbe che un ricordo falsato, quindi totalmente creato dal nostro cervello. Secondo lo psicologo americano William James invece, che visse a cavallo tra 1800 e 1900, la spiegazione va ricercata nella criptomnesia. La sensazione di aver già vissuto una scena sarebbe provocata da un input molto simile a qualcosa di realmente visto in passato e che scambiamo appunto per ricordo. Tale input può essere innescato da una persona simile a un nostro conoscente oppure addirittura lo scorcio di una città visto di sfuggita nella foto di una rivista. Su un lunghezza d’onda simile si posiziona la teoria legata alle emozioni dissociate: in determinate circostanze, una situazione completamente nuova può risvegliare in noi delle reazioni emotive provate in passato, creando così il senso di familiarità. Tipico è il caso di un odore o di un sapore che inconsciamente colleghiamo a un ricordo.
Ma la teoria forse più in grado di spiegare il fenomeno è quella suggerita nel 1844 dal medico inglese Wijian, convinto che la sensazione di déjà vu fosse causata da un’asincronia emisferica. In parole più semplici, quando l’input esterno raggiunge prima l’emisfero cerebrale passivo e poi arriva a quello dominante, quest’ultimo lo elabora come esperienza familiare perché già conosciuta dall’altro emisfero. In questo caso saremmo in presenza di un piccolo cortocircuito neuronale. Tutte queste ipotesi sono in grado, a seconda dei casi, di spiegare il fenomeno senza però che ve ne sia una, capace di spiegare univocamente il fenomeno in ogni sua forma. Ad ogni modo prima di azzardare assurde ipotesi su possibili ricordi legati ad una vita precedente, starà a voi ritrovarvi nella spiegazione che vi sembrerà più plausibile, legata alla vostra personale esperienza.

Marco Pessina – www.ghosthunter.it